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L’esegesi di Michelangelo ha sempre esercitato una grande suggestione sull’ingresso teologico per quanto riguarda la Genesi. La creazione della donna, che sta al centro della sequenza dei nove affreschi dedicati al biblico «racconto delle origini» varrebbe da sola una monografia estetico-teologica. Nelle prime tre scene, la parte ‘cosmologica’ della creazione, siamo impressionati dall’immagine della ‘corposità’ di Dio, nell’enormità della sua potenza e nella delicatezza della sua precisione. L’enorme ‘torso’ divino, per esempio, intento nella piantumazione della terra, così pateticamente piccola di fronte alla ‘corposa’ immensità del Creatore. E l’impressione di indicibile concentrazione e delicatezza che Dio mette nell’operazione. In tutte e tre le immagini, del resto, siamo colpiti da questa emozionante mescolanza di potenza inarrestabile e di fine cura. Il tratto si riassume – come ci saremmo arrivati, senza questa immaginazione? – nell’incredibile invenzione del dito di Dio, totalmente trasportato dalla veemenza dello Spirito che dona la vita, e insieme trattenuto a un millimetro dal dito dell’uomo, che la riceve nella posizione del Figlio amato, nella quale Dio stesso lo ha pre-immaginato. Immagine audace, iconograficamente e teologicamente: postura da principe ereditario, atteggiamento da figlio prediletto. Eppure immagine biblicamente rigorosa, che restituisce con straordinaria efficacia di provocazione quell’inaudito «a immagine e somiglianza» al quale siamo sin troppo pigramente assuefatti.
E quando pensi di aver toccato il vertice dell’invenzione artistica del gesto creatore, ecco la creazione della donna. Guarda come si è improvvisamente addolcito e chetato lo slancio della potenza. Quale tenerezza nello slancio riconoscente della donna, e quale pacata disponibilità all’accoglienza del Creatore. Nel rovesciamento delle parti – lo slancio della creatura, l’accoglienza del Creatore – restituisce al padre tutto l’orgoglio della sua invenzione nell’invenzione. Con i capelli e la barba bianco-oro, dietro la quale indoviniamo un sorriso di commozione, Egli sta a terra, ora, ad accogliere la nascita che gli si affida. Nella sua creazione, la donna realizza l’identico tratto della confidenza di Dio, e con Dio, che fu del maschio. E lo realizza, nondimeno, in un modo irriducibilmente suo, del quale il maschio, addormentato, rimarrà per sempre ignaro. La ‘diversità’ della figura di Dio, qui, imprime in noi l’inconfondibile percezione di una singolarità, che non è mera ripetizione. L’estetica e la drammatica inscritte nel racconto della Genesi contengono effettivamente, a saperli leggere, la potenza di questi ‘dettagli’. Dettagli che fanno una differenza di sostanza, per l’inedita rivelazione drappeggiata con le stoffe del mito.
Il Dio della Genesi non allestisce qui una semplice appendice del suo impero di creature celesti, non subisce un collasso esplosivo di energie incontrollabili, non emana turbolenze periferiche di un’essenza che degrada, per poi ricomporsi senza lasciare traccia, né valore aggiunto. Dio affresca il nulla con le linee maestre di un’invenzione durevole, appassionata e affettuosa, che viene consegnata alle creature-figlio perché mettano liberamente in scena le loro avventure di vita. È un dono a rischio, ma non un gesto a perdere. Stella per stella, pianticella per pianticella, sorriso per sorriso, saranno minuziosamente guariti dalle loro ferite, fino all’ultimo.
(da P. Sequeri, A passo d’uomo. Miracoli e altre tracce, Milano, Vita e Pensiero, 2012, pp. 81-84)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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