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La lotta delle suffragiste nell’Ottocento aveva, come è ovvio, anche delle ripercussioni sull’organizzazione delle chiese. Le donne, che chiedevano il voto nella società civile, spingevano per avere l’accesso al ministero pastorale. A dire la verità, nel movimento metodista fin dall’epoca di Wesley (intorno al 1760) le donne pregavano e testimoniavano in pubblico e alcune erano capi-gruppo (class leaders); Sara Mallet fu anche autorizzata alla predicazione da Wesley e dalla Conferenza metodista nel 1786. Tuttavia la prima chiesa a consacrare una donna al ministero pastorale fu quella episcopale del New England. Solo nel 1880, dopo una lunga lotta in altre chiese evangeliche che la autorizzavano alla predicazione ma non alla celebrazione dei sacramenti, Anna Howard Shaw fu consacrata pastore. Ella stessa però lasciò il pastorato dopo qualche anno per lavorare a tempo pieno nelle organizzazioni per la temperanza e il suffragio.
In realtà, come sottolinea Jean Beaubérot, a questo punto non fu più tanto il pulpito ad essere negato alle donne. La lotta delle suffragiste nel mondo anglosassone aveva mostrato l’energia, l’efficacia e l’autorità della parola pubblica delle donne. L’ultimo ostacolo, benché non vi fosse alcun motivo teologico, fu l’amministrazione dei sacramenti.
In Italia le tappe della partecipazione femminile ai ministeri riconosciuti fu molto lenta. Nel 1903 venne accettato nella chiesa valdese il voto delle donne ma soltanto nel 1930 fu ammessa l’eleggibilità delle donne nei consigli di chiesa, come «diaconesse», e quindi anche la loro possibile presenza ai Sinodi. La prima donna fu deputata a un Sinodo soltanto nel 1949. Prima di arrivare al riconoscimento del ministero femminile si passò attraverso una fase, breve ma significativa, in cui alle donne era concesso l’esercizio di ogni compito pastorale, esclusa l’amministrazione dei sacramenti. Inoltre, in quella fase, era richiesto che le donne non fossero sposate. Per arrivare a far sì che il Sinodo, nel 1962, riconoscesse il pastorato femminile a tutti gli effetti, le organizzazioni delle donne valdesi dovettero combattere una battaglia teologica. A livello pratico non ci furono invece particolari ripercussioni o opposizioni nelle comunità rispetto al ministero femminile. Sicuramente la presenza di donne nel pastorato e nella predicazione ha aiutato le chiese, negli anni, a crescere nella consapevolezza del sacerdozio universale dei e delle credenti, ed ha accresciuto la partecipazione delle donne tutte nella vita della chiesa.
(da L. Tomassone, Donne nelle Chiese della Riforma Protestante, in L. Borriello et al., a cura di, La donna: memoria e attualità. Vol. III: Donna e religioni cristiane, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2002, pp. 250-251)*
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