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Nel corso del Settecento si è profondamente modificato il rapporto esistente da secoli tra la bottega e la strada. Con lo sviluppo demografico e commerciale delle città una clientela conosciuta e abituale è stata infatti sostituita da una clientela anonima, fatta di individui sempre più frettolosi che avevano bisogno di incentivi per entrare nelle botteghe. La vetrina, che ha consentito di esporre verso la strada le merci, è nata principalmente come strumento di persuasione. Si trattava di una forma primitiva di vetrina, generalmente costituita da piccole lastre di vetro unite tra loro, non essendo ancora tecnicamente possibile realizzare vetri di grandi dimensioni. Da quel momento la vetrina è diventata un fondamentale palcoscenico per la messa in scena delle merci. È nato dunque in questo modo il negozio moderno, che ha progressivamente lasciato cadere il laboratorio dove venivano realizzati i prodotti venduti e ha puntato sulla sua capacità di attirare i clienti sul piano visivo. Ed è cambiata anche la funzione delle merci, le quali uscivano da retrobottega inaccessibili al pubblico dove erano stipate alla rinfusa o da cassetti profondi e armadi chiusi da cui il venditore le prelevava al momento di magnificarle per essere esposte, sia in vetrina che all’interno del negozio, allo scopo di catturare lo sguardo e il desiderio dei clienti. […]
Il risultato è stato che i prodotti esposti in vetrina hanno potuto essere ulteriormente spettacolarizzati. Ma, con gli ultimi decenni dell’Ottocento, la produzione di grandi quantità di merci, resa possibile dalla seconda rivoluzione industriale, e l’intensa fase di sviluppo attraversata dai processi di «metropolizzazione» del sociale hanno progressivamente moltiplicato i consumi e i luoghi di acquisto. Sono nati così anche i grandi magazzini, cioè luoghi di notevoli dimensioni, spesso articolati su più piani, che allettavano i clienti con la promessa che avrebbero potuto trovarvi qualunque cosa. L’opera di seduzione e convincimento del consumatore anche in questo caso è stata esercitata da un’adeguata messa in scena delle merci. Il grande magazzino si è fatto esso stesso teatro, perché la merce è stata trasformata in oggetto di uno spettacolo permanente. Dunque, la logica comunicativa della vetrina, basata sulla messa in scena spettacolare dei prodotti, si è progressivamente estesa nel corso dell’Ottocento all’intera superficie di vendita e a luoghi di consumo sempre più grandi. Tale spettacolarizzazione ha avuto nella pubblicità uno sviluppo parallelo e complementare e si è intensificata con l’arrivo delle grandi esposizioni universali.
Nel XX secolo, con la nascita e la sempre più ampia diffusione a livello mondiale del modello statunitense del centro commerciale, il processo di vetrinizzazione si è ulteriormente rafforzato, coinvolgendo tutte le principali tipologie di luoghi del consumo: centri commerciali, alberghi, ristoranti, cinema, musei, parchi a tema, aeroporti, Internet ecc. Ma, più in generale, negli ultimi decenni si è avviato un processo di progressiva vetrinizzazione anche della società. Il risultato finale di questo processo è che oggi tutto viene progettato e realizzato per apparire bello e seducente. Insomma, appare sempre più palpabile ed evidente quel processo di estensione della dimensione estetica ai principali ambiti della vita sociale che Michel Maffesoli aveva individuato già qualche anno fa. Quel processo, cioè, che deriva dalla progressiva diffusione nell’intero sistema sociale della logica di messa in scena della vetrina. La vetrina, con la sua trasparenza che crea relazioni, è ormai una perfetta metafora del modello di comunicazione che tende oggi a prevalere.
(da V. Codeluppi, La vetrinizzazione sociale. Il processo di spettacolarizzazione degli individui e della società, Torino, Bollati Boringhieri, 2007, pp. 13-17)*
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