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La storia dei Mondiali di calcio è anche storia politica o, quantomeno, interagisce con essa in un rapporto multiforme e simbiotico. Non si tratta semplicemente di un fenomeno di costume. Il calcio è considerato dai sociologi come un elemento centrale della vita associativa, ma è al contempo uno degli ambiti privilegiati sui quali cultura di massa e politica si incontrano e creano un’interazione che è fatta di condizionamenti, sconfinamenti, strumentalizzazioni e passioni. Del resto, la struttura stessa della Coppa tende a perpetuare la raffigurazione di un mondo diviso geograficamente e socio-politicamente in Stati-nazione in competizione tra loro. […] La vittoria finale può provocare una temporanea ed effimera eruzione di emozioni e passione nazionale, in cui i campioni del mondo vengono celebrati come simboli di unità e di eccellenza della nazione. Anche se l’estasi provocata dal successo non significa necessariamente adesione al potere in carica, queste situazioni sono spesso oggetto di strumentalizzazioni. […] La storia dei Mondiali di calcio è ricca di episodi che sottolineano il valore politico centrale del calcio nelle nostre società. Alcuni di questi, come le strumentalizzazioni da parte di Mussolini e Videla delle vittorie della nazionale italiana negli anni Trenta e argentina nel 1978, sono evidenti, altri, come i festeggiamenti in Iran per la qualificazione ai Mondiali del 1998, che portarono le donne a scendere in piazza violando convenzioni e divieti, sono più sottili. Altri ancora, come l’appello effettuato da Didier Drogba a deporre le armi e organizzare libere elezioni in una Costa d’Avorio lacerata dalla guerra civile, pronunciato dagli spogliatoi subito dopo la partita che sancì la qualificazione della propria nazionale a Germania 2006, sono ignoti ai più.
(da R. Brizzi e N. Sbetti, Storia della coppa del mondo di calcio, 1930-2018. Politica, sport, globalizzazione, Firenze, Le Monnier, 2018)