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La Rivoluzione russa cominciò spontaneamente alla fine di febbraio del 1917 – il 23 per la precisione – in concomitanza con la giornata internazionale della donna (nel nostro calendario la data corrispondeva all’8 marzo). La ricorrenza era stata sospesa in tutti i paesi belligeranti. A Pietrogrado fu invece celebrata, in intimo accordo con i desideri della popolazione, per chiedere la fine della guerra. La manifestazione era stata vietata dalle autorità di polizia, ma quando il corteo delle donne, affiancate da migliaia di lavoratori venne formato e cominciò a sfilare non fu represso con determinazione. Prevalse infatti la consapevolezza che non si poteva esasperare la situazione di disagio della cittadinanza. Quel giorno gli operai in sciopero erano novantamila; il 24 erano duecentomila; il 25, quando l’abbandono del posto di lavoro fu quasi generale, si unì ai manifestanti una sterminata folla che non credeva all’impegno preso dal governo di provvedere al rifornimento dei beni di consumo; il 26, iniziati gli scontri con i dimostranti in marcia verso obiettivi sensibili del centro, gli ufficiali cominciarono a sparare perché i soldati messi in postazione si erano rifiutati di farlo. Di fronte alle decine e decine di vittime dei fucilieri, la disciplina delle truppe fatte affluire dalle guarnigioni però si allentò e iniziò la fraternizzazione tra i soldati e la popolazione, lasciando intravvedere una figura antagonista collettiva contro cui a poco sarebbe valsa la repressione; il 27 fu decretato lo stato di assedio della Capitale, ma gruppi di militari ammutinati, insieme agli operai in sciopero rifornitisi di armi nel corso di un assalto all’Arsenale, entrarono nella fortezza di Pietro e Paolo e liberarono i prigionieri politici. Uno dei reggimenti penetrò nel Palazzo d’Inverno e, per mostrare al popolo che la città era presa, vi fece sventolare la bandiera rossa.
(da La Rivoluzione russa, a cura di A. Salomoni, Milano, Corriere della Sera, 2015)