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Tra gli studiosi di Isaiah Berlin, nessuno finora ha mai parlato di «berlinismo». Sarebbe infatti paradossale applicare una simile definizione al pensiero di un uomo che aborriva le soluzioni semplicistiche, non cercava (né desiderava avere) discepoli e non sottoscrisse nessun disegno lineare per l’umanità. Berlin citava spesso Kant: «dal legno storto dell’umanità non è mai stata prodotta una cosa dritta». Era un difensore della complessità, delle sfumature, delle sottili distinzioni, delle individualità irripetibili e un simile atteggiamento lo rendeva un oppositore naturale degli «-ismi» canonici.
Per Berlin è fondamentale l’idea che gli esseri umani siano per natura liberi di scegliere il proprio percorso di vita. La libertà di scelta è, nel suo pensiero, una caratteristica essenziale della condizione umana (tanto da essere profondamente radicata nel linguaggio con cui ci riferiamo alle azioni umane). Sviluppando tale libertà creatrice costruiamo le nostre identità, che sono in parte ereditate o acquisite, ma che possiamo, entro certi limiti, conformare liberamente. La libertà del volere, e la libertà politica che ne dipende, è il tema principale dei saggi degli anni Cinquanta raccolti nel suo volume che considerava il più importante, Quattro saggi sulla libertà, confluito in seguito nella raccolta Libertà.
La libertà politica ha molti aspetti, tra i quali in particolare la libertà «negativa» di non ricevere interferenze o impedimenti da parte di altri esseri umani, e la libertà «positiva» insita nel controllo di sé e nel fare qualcosa di noi stessi, perseguendo positivamente i nostri fini. Questi due generi di libertà sono al centro di Due concetti di libertà. In questo vigoroso saggio Berlin inveisce contro quei pensatori totalitari che intendono trasformare la «mostruosa personificazione» della libertà positiva in uno strumento di asservimento, postulando l’esistenza di un «vero sé» collettivo i cui rappresentanti ritengono di sapere, meglio di ciascuno di noi, quali debbano essere i nostri autentici obiettivi. In questo saggio, come sempre, Berlin difende l’individuo come sede autentica della decisione e dell’attività morale, respingendo i collettivi autoritari che ambiscono ad assumere il ruolo di guide morali.