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Credo che sia possibile, a partire da alcune categorie di testi a noi pervenuti, formulare delle domande significative su alcuni tratti della religiosità filosofica del neoplatonismo, tema tanto ricco quanto difficile a definirsi. Il Commentario di Simplicio al De Caelo di Aristotele, che non è soltanto un discorso di teologia scientifica, ma un inno in onore del dio cosmico e del suo demiurgo, si pone come un vero processo spirituale di conversione, che conduce all’unione dell’intelletto con le cose conosciute, le realtà celesti e il demiurgo stesso. Questo esercizio ha tuttavia una natura particolare, poiché avviene attraverso l’atto della scrittura: deriva inizialmente da una pratica raccomandata da Epitteto nel suo Manuale, ma deve anche essere percepita in relazione a una concezione della scrittura e del testo scritto che si colloca in maniera ben definita nell’orizzonte della filosofia neoplatonica del linguaggio. Nel suo Commentario Simplicio afferma che, attraverso l’atto scrittorio, sarà in grado di entrare in “simpatia” con le parole dell’autore e acquisirà una migliore “intelligenza” della loro verità. L’atto stesso di scrivere – afferma ancora l’autore nel suo Commentario alle Categorie di Aristotele – conduce alla comprensione veridica delle dottrine studiate.
L’atto di scrivere, insomma, che si tratti di una copia per la meditazione di una auctoritas (come, ad esempio, Giamblico), o che si tratti della redazione di un commentario, è esso stesso un esercizio di conversione, che porta al risveglio di una delle tre potenze anagogiche della tradizione caldaica (Amore, Verità, Fede), ponendo le basi per la dinamica della preghiera in Proclo e in Simplicio. In questo senso, si può dunque dire che il commentario scritto non assume soltanto la natura di esercizio spirituale, ma anche, nel suo complesso, di vera e propria preghiera rivolta verso le entità (Mondo, Cielo, Demiurgo) di cui l’esegesi offre una forma di conoscenza scientifica.
Il commentario al De Caelo, alla luce di questi brevi presupposti, può essere dunque interpretato nella sua interezza come un atto spirituale di conversione verso il divino, pur configurandosi anche come unione con le cose conosciute. La conversione, allora, è duplice: si tratta, da una parte, della conversione del filosofo-esegeta stesso, che sperimenta il commentario come un esercizio spirituale personale; dall’altra, si tratta della conversione che il filosofo, in quanto professore e scrittore, produce nei suoi studenti e nei suoi lettori, conducendoli sulla via che egli stesso ha seguito. La meditazione erudita di Simplicio sul testo aristotelico produce, nel contempo, l’ortodossia della dottrina e l’unione mistica con il suo oggetto. In tale prospettiva si può dire che la fede neoplatonica è – e sostanzialmente resta – una fede filosofica.
L’atto di scrivere, insomma, che si tratti di una copia per la meditazione di una auctoritas (come, ad esempio, Giamblico), o che si tratti della redazione di un commentario, è esso stesso un esercizio di conversione, che porta al risveglio di una delle tre potenze anagogiche della tradizione caldaica (Amore, Verità, Fede), ponendo le basi per la dinamica della preghiera in Proclo e in Simplicio. In questo senso, si può dunque dire che il commentario scritto non assume soltanto la natura di esercizio spirituale, ma anche, nel suo complesso, di vera e propria preghiera rivolta verso le entità (Mondo, Cielo, Demiurgo) di cui l’esegesi offre una forma di conoscenza scientifica.
Il commentario al De Caelo, alla luce di questi brevi presupposti, può essere dunque interpretato nella sua interezza come un atto spirituale di conversione verso il divino, pur configurandosi anche come unione con le cose conosciute. La conversione, allora, è duplice: si tratta, da una parte, della conversione del filosofo-esegeta stesso, che sperimenta il commentario come un esercizio spirituale personale; dall’altra, si tratta della conversione che il filosofo, in quanto professore e scrittore, produce nei suoi studenti e nei suoi lettori, conducendoli sulla via che egli stesso ha seguito. La meditazione erudita di Simplicio sul testo aristotelico produce, nel contempo, l’ortodossia della dottrina e l’unione mistica con il suo oggetto. In tale prospettiva si può dire che la fede neoplatonica è – e sostanzialmente resta – una fede filosofica.