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Solo all’inizio del XVII secolo all’affresco di Raffaello fu attribuito il titolo La Scuola di Atene, tramandato fino ad oggi dagli storici dell’arte e dai divulgatori. Il titolo suggerisce un’intenzione storiografica che l’affresco non ha e non poteva avere nel periodo storico in cui nacque; esso non vuole rappresentare un soggetto storico lontano nel tempo in quanto tale, bensì esprimere una propria idea e un proprio programma attraverso il linguaggio figurativo. Giulio II non pensava certo di sacrificare l’importante Stanza in Vaticano e il suo prezioso denaro al piacere disinteressato di un dipinto che ritraesse, con intento storiografico, una scuola di filosofi del passato. L’affresco rappresenta piuttosto le idee che circolavano alla corte papale senza contestualizzare storicamente il proprio soggetto e riunendo, con gli altri dipinti presenti nella stanza, verum (filosofia), bonum (giurisprudenza) e pulchrum (poesia) in un tutto necessario (la teologia), come esige l’idea che il potente papa ha di sé […]. In breve: dal punto di vista storico il suo titolo è significativamente falso. Esso racchiude inoltre un fraintendimento da identificare ed eliminare prima dell’osservazione dell’affresco. Il titolo La Scuola di Atene isola l’affresco dallo spazio per il quale è stato concepito. Si può invece facilmente dimostrare che esso va inteso come parte di un più ampio progetto che coinvolge l’intera Stanza e che quindi un’interpretazione che si limiti a seguire il titolo contiene necessariamente semplificazioni ed errori. L’affresco originario è integrato in una potente concezione complessiva della Chiesa cattolica: se il diritto di questa non viene più rispettato o riconosciuto, la relazione interna di un elemento con il tutto non è più evidente ed esso può essere staccato artificialmente dal programma complessivo e poi liberamente riprodotto come parte a sé […]. Con il titolo, aggiunto tardivamente, La Scuola di Atene, non si identifica il tema originario dell’opera. È un titolo falso e fuorviante, e tuttavia scelto in modo opportuno, poiché, se non lo si prende in senso storico, restituisce effettivamente qualcosa dello spirito e dell’atmosfera in cui fu concepita ed eseguita l’opera. L’affresco è un’opera d’arte e di erudizione e in quanto tale, fin dall’inizio, ha dovuto essere interpretato, tanto quanto, per esempio, la Divina commedia di Dante o la Critica della ragion pura di Kant […]. Per Raffaello (cioè, in generale, per il pittore e i suoi consiglieri) esiste, ed è lampante, la giusta disposizione del singolo oggetto, della spada, del libro e del fiore; essi ricevono tuttavia la loro determinazione non isolatamente, ma in un ordo, che prima di tutto ne rende possibile la funzione e la determinazione. La composizione del quadro si basa sulla costellazione necessaria delle cose rappresentate. Se nel quadro troviamo spada, libro, fiori e cintola non è perché l’artista li abbia visti casualmente o perché gli siano venuti in mente, ma perché questi elementi sono legati da una precisa correlazione all’interno dell’ordine universale. Oggi siamo meglio preparati a scoprirlo.
(R. Brandt, Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Magritte, Milano, Bruno Mondadori, 2003, pp. 38-45)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.