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Marx per un verso e Freud per un altro operarono uno spostamento epistemologico, ponendo il punto di vista dell’osservatore all’interno del contesto di osservazione. Questo spostamento, tuttavia, non produce, per così dire, un ritorno all’innocenza perduta dell’osservatore. Il volgere dello sguardo occidentale dall’altro a sé, in quanto altro, che permea una parte rilevante della riflessione del XX secolo sul feticismo, piuttosto che rimettere le cose a posto dopo il malinteso originario, le complica ulteriormente. (…)
Dopo Marx e Freud, cioè dopo lo spostamento dell’osservatore all’interno della cultura occidentale, la nozione di feticcio ha in un certo senso accresciuto la sua problematicità (e difficoltà) epistemologica. In un sistema-mondo dove le merci pervadono le relazioni simboliche e i rapporti umani ormai su scala planetaria, diventa estremamente difficile prescindere da ciò ogni qual volta si cerca una definizione di feticcio. L’analisi marxiana sul carattere di feticcio della merce che ha avuto, come è noto, sviluppi decisivi nel Novecento (per esempio con Lukacs, Adorno, Horkheimer, Benjamin, più recentemente con Debord, Baudrillard, Derrida, Balibar e altri), per quanto (o forse proprio per questo) riveli ancora tutta la sua forza conoscitiva e critica, lascia tuttavia aperte alcune questioni di primaria importanza. Si tratta di tre questioni che ruotano tutte attorno al concetto di merce e al ruolo che occupa il processo di sostituzione. Vediamo come. La prima ha a che fare con la definizione marxiana di feticismo delle merci. Marx, nel Capitale, parla della forma della merce che, come uno specchio, restituisce agli uomini i caratteri sociali del loro lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro. Per spiegare questa sostituzione fra i caratteri sociali dei lavori e la qualità delle cose-merci, Marx opera un’analogia prima con l’esperienza della vista e dell’occhio, poi con il mondo religioso – ed è quest’ultima analogia che egli considera pertinente con il fenomeno del feticismo delle merci. Si tratta infatti di riflettere sull’apparente autonomia che acquistano là le cose-merci, qui gli dèi. Le cose-merci appaiono dotate di qualità proprie che invece appartengono alle persone e al loro essere sociale, gli dèi hanno un’esistenza propria che appare del tutto separata dall’immaginario umano che li ha creati. Questo processo di sostituzione descritto da Marx ha una funzione di nascondimento, che tuttavia è possibile disvelare. Come? Qui sorge il problema. Marx tende a contrapporre a questi fenomeni di sostituzione con nascondimento immagini dove i rapporti sono diretti e trasparenti, come quella di Robinson Crusoe o della società di liberi produttori associati. Nell’un caso e nell’altro l’individuo isolato o gli uomini liberamente associati intrattengono rapporti diretti e trasparenti con le cose. Ma scenari siffatti hanno senso solo se servono come contrapposizione critica alle situazioni storiche, solo cioè se non acquistano essi stessi un’esistenza autonoma (nel qual caso il loro effetto di sostituzione creerebbe il fenomeno del feticismo) e permettono invece di individuare i passaggi per uscire dai confini di un contesto storico-sociale determinato. Il problema per lo spostamento del punto di vista dell’osservatore, infatti, sono i passaggi, gli attraversamenti. E il problema di Marx è in fondo ancora quello proposto dall’allegoria della caverna di Platone. Qui il prigioniero liberato che ha visto faticosamente la vera fonte della luce e della verità, dovrà tornare dai suoi compagni ancora incatenati con lo sguardo rivolto alla parete che produce ombre e rischierà la vita perché essi non gli crederanno. Ma l’aspetto epistemologicamente e politicamente attraente, perché ancora ambiguamente aperto, non consiste tanto nella conquista della luce e della verità di contro a un mondo di ombre e di illusioni, consiste nel passaggio, nell’attraversamento del confine tra l’ombra e la luce, tra l’illusione e la verità. La percezione del confine permette di guardare la caverna con altri occhi. Il suo attraversamento porta alla sua verità. Questa risiede nella consapevolezza che la caverna non è l’unico mondo esistente e nemmeno l’unico possibile. E poiché viviamo in un mondo dove le merci stanno diventando (o sono già diventate) le pareti di una caverna che si mostra come naturale ed eterna, avere quella consapevolezza è decisivo.
(da A.M. Iacono, Storia, verità e finzione, Roma, Manifestolibri, 2006, pp. 147-149)*
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