Uno dei principali mutamenti introdotti dalla globalizzazione sulla scena internazionale riguarda il rapporto tra gli «spazi» politici, economici e giuridici. Se, in uno sguardo di lungo periodo, la modernità aveva costruito un modello di sovranità che prevedeva una sostanziale coincidenza tra queste tre sfere, già alla fine della Seconda guerra mondiale, con la crisi degli Stati europei e l’avvento delle due potenze planetarie, si era generata una prima disarticolazione della tendenziale coincidenza territoriale tra politica, economia e diritto. È stata però soprattutto l’apertura degli spazi globali seguita agli eventi del 1989 che ha completamente incrinato questa fondamentale caratteristica della modernità, alla base dell’intera architettura filosofica e politica del processo di emancipazione sociale fondato su concetti quali democrazia, libertà, diritti, rappresentanza. Dopo due decenni di globalizzazione niente è più come prima, e niente lo sarà più. Senza necessariamente promuovere sguardi nostalgici sul passato, oggi è almeno necessario avvertire che gli strumenti teorici con i quali le culture europee e occidentali avevano costruito lo Stato di diritto e il welfare state sembrano ormai reperti archeologici inutili per affrontare le questioni contemporanee, in particolare i processi di delocalizzazione della produzione e di finanziarizzazione dell’economia. Una volta demolita la sostanziale coincidenza tra sfera politica, sfera economica e sfera giuridica, diventa infatti problematico definire lo statuto della sovranità.
Alcune domande possono esemplificare il carattere problematico di questo nuovo panorama. Com’è possibile salvaguardare l’autonomia politica degli Stati di fronte alla «sconfinatezza» dei movimenti finanziari globali? Qual è il fondamento di legittimità dell’azione politica che i «poteri indiretti» (corporations e banche d’affari) svolgono effettivamente, senza però sottostare al criterio di responsabilità politica? Quali sono le possibilità che il diritto possa rendere davvero concreta la tutela delle libertà e dei diritti nel mercato globale? E quali limiti si pongono all’agire dei governi nella gestione delle nuove emergenze ambientali? Queste, e altre, domande rendono evidente che oggi è sostanzialmente esaurita l’utilità dei concetti filosofici e politici con i quali le società europee sono progressivamente riuscite a trovare un punto di equilibrio tra ragione e potenza, tra diritto e forza, proprio perché i principali movimenti globali attraversano tutte le frontiere utilizzando strumentalmente le strutture burocratiche del vecchio Stato-nazione. La soluzione a questo problema risiede nell’elaborare una nuova architettura istituzionale e giuridica in grado di governare i movimenti globali, mirando a costruire una nuova coincidenza tra sfera politica, economica e giuridica che sia realmente in grado di coprire uno sguardo globale. Questa soluzione passa però attraverso un paradosso: infatti queste nuove istituzioni sovranazionali dovrebbero essere create proprio dagli attuali Stati nazionali, che così decreterebbero la fine della propria sovranità. È evidente che non si tratta di un processo semplice, non solo per ragioni politiche e istituzionali, ma anche per ragioni sociali e culturali, addirittura antropologiche. Ed è allora su questo piano che la discussione sull’idea di «costituzione» – intesa non solo sul piano giuridico come «carta fondamentale» ma anche sul piano filosofico come «corpo politico» – può contribuire a una riflessione interdisciplinare e ad ampio raggio sui rapporti tra dimensione locale, nazionale e globale nell’età contemporanea.
Con l’undicesima edizione del seminario di cultura europea «Le frontiere dell’Europa» il Centro Culturale intende proseguire la discussione sul tema «costituzione» già avviata con il ciclo di lezioni dell’autunno 2010. Mentre nella prima parte dei lavori è stata data precedenza, in una prospettiva di lungo periodo, alla discussione dei principali nodi storici e teorici relativi alle diverse concezioni di «costituzione», nel presente seminario viene dato maggiore spazio alle questioni aperte nella vita delle società contemporanee in una prospettiva europea, visto che proprio l’Unione Europea, soprattutto dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dovrebbe mirare a trovare spazio tra gli attori sovranazionali in grado di gestire le nuove relazioni globali. A tale compito l’Europa è delegata per due ragioni. In primo luogo, perché l’Unione Europea costituisce un’istituzione politica radicalmente innovativa in grado di confrontarsi con la complessità dell’età globale: per la prima volta, infatti, è stata portata a termine una fase costituente che, per quanto imperfetta e perfettibile, determina la creazione di un’entità qualitativamente diversa da tutte le forme di governo contemplate finora, delineando un quadro di multilevel government (tra istituzioni comunitarie, governative, intergovernative e locali) potenzialmente all’altezza di una nuova «democrazia cosmopolitica». In secondo luogo, perché – se vogliamo evitare che la globalizzazione determini un nuovo teatro di conflitti tra Leviatani – è necessario sostanziare il governo politico e istituzionale dei movimenti globali (produzione, commercio, finanza, migrazioni, ambiente) con la cultura filosofica, politica e giuridica dei diritti che si è faticosamente affermata in età moderna.
Riepilogo
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Informazioni e contatti | La partecipazione è libera. A richiesta si rilasciano attestati di partecipazione. Il seminario gode dell'accredito ministeriale per la formazione del personale della scuola (D.M. 18 luglio 2005). Le lezioni si tengono presso la Fondazione Collegio San Carlo, via San Carlo 5, Modena tel. 059.421208, fax 059.421260 cc@fondazionesancarlo.it www.fondazionesancarlo.it |