L’ascetismo del IV secolo si espresse anche secondo modalità, per così dire, private: non tutte le donne che votarono la propria vita al Vangelo, infatti, si staccarono dal contesto familiare per trovare nel deserto, o in un cenobio, la solitudine e il raccoglimento necessario per la preghiera e la ricerca di Dio. Molte, semplicemente, non si sposarono e coltivarono la fede fra le mura domestiche. Ma il Neon Miterikon raccoglie soprattutto storie che hanno come protagoniste anacorete e cenobite; queste figure carismatiche che spesso conducevano il duro combattimento spirituale lontano dal mondo degli uomini, in una grotta, in una cella in mezzo al deserto o su un’isola disabitata, evidentemente godevano ancora di grande fascino in epoca tardobizantina.
L’antologia si apre con alcuni detti riferibili a due celebri ammai, Teodora e Sarra. Teodora era una cenobita famosa per rigore e autodisciplina. Tali doti le avevano conferito il ruolo di madre spirituale, guida riconosciuta per tutti gli asceti e non solo per le consorelle. Come i Padri del deserto, anche le Madri offrivano ammaestramento ai discepoli tramite una breve risposta o un’affermazione incisiva suggerita talvolta dalla domanda di un ospite. Dagli apoftegmi conservati nell’antologia, risalta il valore attribuito da Teodora all’umiltà come virtù cristiana, superiore anche alla continenza.
Sarra invece viveva in solitudine nel deserto di Pelusio. Emblematico è l’episodio che la vede protagonista di uno scambio polemico di battute con alcuni monaci scetioti. La lotta, alla fine vinta, contro le passioni, e contro la lussuria in particolare, aveva reso Sarra una figura esemplare di asceta. A giusto titolo, quindi, e non senza un certo orgoglio, si definiva un uomo nello spirito, nonostante fosse donna per natura. La virilità posseduta da Sarra è esclusivamente morale e non implica quella perdita di caratteri esteriori femminili che connotava, invece, l’esperienza di altre ascete. Non era dunque il risultato di lunghe privazioni e poteva essere vantata da chi possedeva il dono dello spirito, teologicamente «virile». Secondo Origene, infatti, «interior homo noster ex spiritu et anima constat. Masculus spiritus dicitur, femina potest anima nuncupari». Si vedrà in seguito come il termine «virilità», nei Padri, non rimandi ad una qualificazione di genere, ma alluda piuttosto alla forza, tutta nuova, con la quale il cristiano, maschio o femmina, vive quotidianamente la parola di Dio. La stessa forza, lo stesso coraggio che si ritrova nelle donne «di virile tempra» menzionate da Palladio nella Historia Lausiaca, «alle quali Dio ha concesso di sostenere battaglie uguali a quelle degli uomini affinché non si possa addurre come pretesto che sono troppo deboli per esercitare perfettamente la virtù».
Molte fra queste erano nobili di nascita e, dopo aver venduto i propri beni ed essersi staccate dalla famiglia, non senza il consenso maritale, si erano ritirate in monastero ove avevano terminato i loro giorni praticando l’ascesi. Palladio menziona ascete famose, protagoniste della prima stagione del monachesimo palestinese e gerosolimitano: la romana Paola e la figlia Eustochio, corrispondente di Girolamo, le due Melanie, nonna e nipote. Alcune invece, come ammas Talide e Taor, sua discepola, avevano scelto dall’inizio una vita separata ed erano oggetto di ammirazione per il grado di distacco e di impassibilità a cui erano riuscite a giungere dopo molti anni di ritiro dal mondo. Altre ancora vivevano in conformità ai precetti evangelici all’interno delle mura domestiche, non abbandonando il marito e, nondimeno, conservandosi caste fino alla morte. Nell’esprimere la propria ammirazione nei confronti di queste donne, Palladio allude al possesso di una virilità esclusivamente interiore: le tante mogli, vedove e madri che popolano il suo diario di viaggio, pur nella rinuncia alla vita materiale e alle gioie del matrimonio, mantengono infatti intatta la fisionomia e l’identità femminili.
(da B. Cavarra, La porta stretta. Ascetismo cristiano e santità femminile in un’antologia tardobizantina, Abbazia di Praglia, Edizioni Scritti Monastici, 2007, pp. 177-180)