Il pensiero filosofico di Plotino sorge in un’epoca segnata dalla presenza di significative spinte religiose, spesso collegate a profonde concezioni filosofiche (cristianesimo, gnosticismo, rivelazioni oracolari ecc.). La riflessione di Plotino è ricca di spunti che appartengono a questa costellazione. Il suo pensiero subì anche l’influsso di concezioni orientali. A lui si deve la prima teorizzazione organica della nozione di «estasi», destinata ad avere un’influenza formidabile sulla mistica occidentale. Ma egli è anche erede di quella tradizione platonico-pitagorica incentrata intorno al motivo della fuga dal mondo e della purificazione.
L’unione con il principio scaturisce da un processo di iper-interiorizzazione dell’anima che comporta l’abbandono dell’esteriorità, cioè dell’ente, in direzione della assoluta semplicità, ossia dell’unità. Nel trattato VI 9 la necessità di un simile processo di interiorizzazione viene motivata dal fatto che solo in se stessa e non nell’ente l’anima può accedere all’Uno. L’assunto metafisico da cui dipende questa esigenza risiede nella concezione della arcaia jusiV, ossia nell’idea che la natura antica dell’anima si trovi esattamente nell’Uno, dal quale essa deriva ontologicamente: ciò consente di leggere il ritorno alla sua fonte come un ritorno a se stessa, ossia come un movimento di auto-conversione.
Il processo di interiorizzazione sembra comportare anche l’assunzione di una forma di iper-consapevolezza, come testimoniano alcune affermazioni in cui si accenna alla circostanza che nell’atto dell’unione con il principio l’anima vede e conosce se stessa. Tuttavia con altrettanta frequenza Plotino ribadisce l’idea che l’unione mistica implica anche un annullamento della coscienza e dunque una perdita del sé. In VI 9.10, 15-16, per esempio, si dice che lassù, nell’unione con il principio, l’individuo è divenuto ”come altro”, non è più se stesso e non appartiene più a sé. Questo aspetto viene ulteriormente enfatizzato dal richiamo all’idea che nell’unione mistica l’anima viene afferrata dall’Uno e dunque, smarrendo in qualche modo l’autonomia, cessa di essere se stessa.
Naturalmente la presenza di simili affermazioni non deve sorprendere anche in considerazione del fatto che il processo di generazione ontologica viene interpretato da Plotino sia come un progressivo atto di autonomizzazione, prodotta da una sorta di audacia, sia come una ricerca di individualizzazione dall’assoluto. Per questo è abbastanza naturale che il movimento di riconversione al principio assuma i contorni di una progressiva deindividualizzazione che conduce al vero e proprio annullamento del sé. L’ingresso nella dimensione estatica comporta lo smarrimento della consapevolezza della differenza rispetto a ogni cosa, e l’abbandono di sé nell’identità con l’assoluto, ossia il conseguimento di una dimensione “non metafisica” in cui si produce l’identità tra la causa e i suoi effetti.
Dal momento che il sé si definisce in Plotino sulla base di due parametri, vale a dire la definitezza, cioè la circoscrizione rispetto agli altri enti, e il dinamismo causale, ossia la natura agente, è inevitabile ipotizzare che nell’ambito dell’unione estatica l’anima cessi di essere se stessa, perché non è più circoscritta, avendo annullato i propri contorni nell’immersione nella luce dell’Uno, e non possiede più nessuna forma di dinamismo causale, ormai afferrata dalla potenza infinita del principio. In questo senso essa sembra davvero abbandonare il profilo di soggetto pensante, consapevole e agente, per assumere i contorni di un evento nel quale si annullano sia il sé sia l’altro.
(da F. Ferrari, “Un altro modo di vedere”. Motivi e paradossi dell’estasi in Plotino, in M. Di Pasquale Barbanti e D. Iozza, a cura di, Anima e libertà in Plotino, Catania, CUECM, 2009, pp. 132-134)