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Resta indubbio che la forza espressiva con la quale Dostoevskij dà vita ai suoi demoni nichilisti e distruttori non solo nomina definitivamente il “segreto” del male radicale, che Kant non aveva svelato, ma ne chiarisce le condizioni di possibilità, mettendolo in relazione con la questione del potere. Forse ne I demoni per la prima volta si profila la distinzione tra malvagità e male, tra un modo d’essere del soggetto e l’esito, per così dire sistemico, dell’interazione tra soggetti. Se la malvagità riguarda la struttura della coscienza del singolo, il male è una modalità d’espressione del potere. O, meglio, è il prodursi nella storia di una situazione maligna – diciamo così – che è l’effetto di un’interazione collettiva tra gli sconfinamenti delle libertà. Ognuno dei personaggi abusa del proprio arbitrio in maniera diversa, ma è comunque indubbio che per Dostoevskij i diversi demoni, che appunto corrispondono ai vari modi con cui il male si rende visibile, condividono un unico e assoluto desiderio: prendere il posto di Dio e della sua infinita libertà. Anche se, come creature finite, non potendo creare, possono solo distruggere. È così che il male entra nel mondo, per Dostoevskij e per tutti coloro che ne seguiranno le tracce. Vi entra, in realtà, come diabolica malattia del potere, di un potere che, proprio perché oltrepassa ogni limite, non può che essere pura energia di sopraffazione e di dominio, inesauribile fonte di sofferenza e di morte.
Nichilismo, male e potere: una triangolazione concettuale entro la quale, in una sorta di secolarizzazione dei presupposti teologici, buona parte della filosofia del XX secolo ha creduto di poter circoscrivere le tragedie della propria storia. Volontà, onnipotenza e nulla: seppure non più secondo la religiosità dostoevskiana, la correlazione fra i tre termini viene assunta e riproposta dalla filosofia successiva che continua così a pensare il male come conseguenza della perversione della volontà in onnipotenza, come esito di un soggetto sovrano, collettivo o singolo non importa, che ergendosi a tutto produce il nulla. E ciò corrisponde a una visione “semplice” e unidirezionale del potere, che non va oltre il modello sudditi-sovrano, la cui cifra demoniaca, come anche in questo caso ha mostrato magistralmente lo scrittore russo, è raffigurata nel rapporto fra vittima e carnefice. Da una parte starebbe, cioè, un soggetto onnipotente, portatore di morte e, dall’altra, un soggetto ridotto a mero oggetto, perché reso totalmente passivo dalla violenza dell’altro. La stessa polarizzazione si estende alla dimensione collettiva e ne consente la pensabilità in una struttura dualistica analoga, la quale vedrà, da una parte, un capo, cinico e sfruttatore delle debolezze altrui e, dall’altra, la massa debole e senza possibilità alcuna di resistenza. Tale schema ha ampliato la propria capacità ermeneutica sino a comprendere, all’interno dell’ipotesi nichilistica che lo sorregge, le esperienze centrali del XX secolo: la guerra totale, la tecnica planetaria e devastatrice, i genocidi ripetuti e, soprattutto, Auschwitz. Sono queste le nuove modalità fenomeniche con cui il male si dà a vedere nella storia, per spiegare le quali niente sembra più adeguato che il richiamarsi a un “puro scatenamento della volontà di morte”.
(da S. Forti, I nuovi demoni. Ripensare oggi male e potere, Milano, Feltrinelli, 2012, pp. XIV-XV)*
(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)
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