Poiché tradotto in italiano con grande ritardo, l’opera di Sennett risente del tempo passato, soprattutto nelle considerazioni maggiormente legate al contesto storico dell’epoca di pubblicazione (1970). In particolare, se grande interesse riveste attualmente la prima parte del libro – Un nuovo puritanesimo – in cui vengono analizzate le strutture costitutive della vita cittadina, la seconda parte – Un nuovo anarchismo – in cui Sennett propone ipotesi di soluzione dei gravi problemi che affliggono la città, dimostra tutta la propria inefficacia e come gli anni trascorsi abbiamo disatteso la componente ottimistica del pensiero di Sennett. Inserendosi nella importante tradizione di studi sulla città, l’attenzione di Sennett è tuttavia dedicata a un problema particolare, ovvero all’esame delle strutture psicologiche e sociali che conducono gli abitanti delle grandi città a forme sempre più pronunciate di isolamento dall’Altro, sia esso un evento sociale o un individuo. Sennett individua il modello di tale meccanismo nel processo adolescenziale di controllo dello sconosciuto e dell’imprevisto attraverso un addomesticamento che si attua secondo la doppia linea della riconduzione a un paradigma ideale e di totale esclusione del possibile. Si spiegano in tal modo i comportamenti che tendono a omogeneizzare la vita dei quartieri e a ridurre sempre più le occasioni di socializzazione imprevedibile trasferendo tutti i momenti sociali all’interno della casa e della famiglia. Si tratta del medesimo tipo di controllo finzionale che, secondo Luhman, viene esercitato attraverso il conio e l’uso del concetto di rischio. La conseguenza più grave dei meccanismi sottolineati da Sennett è che una sempre maggiore isolamento delle diverse comunità e una sempre più pronunciata omogeneizzazione dei loro componenti, operata solamente attraverso l’adesione a un ideale presunto piuttosto che reale, rimandando anziché risolvere le innumerevoli occasioni di novità anche conflittuali, sarà occasione di conflitti tra le comunità molto più gravi ed esplosivi. La soluzione è quella di una città che “pianifichi il disordine”, che renda quotidiano l’incontro con l’Altro e che sia di continuo stimolo per la revisione dei paradigmi conoscitivi dell’individuo. Ma come abbiamo occasione di constatare, questa crescita degli individui e la riduzione dell’isolamento e delle occasioni di conflitti gravi e generalizzati si è tutt”altro che realizzata.