La condizione umana si identifica con lo «stare al mondo», scrive in apertura Na-toli: spesso però questa espressione viene intesa come «lasciar correre» il presen-te, non avere un controtempo rispetto al tempo che si vive. Ecco quindi che con una serie di “escursioni” (termine che deve essere preso nella sua accezione di viaggio di studio, di scoperta, di uscita allo scoperto) il libro ci invita a riprendere la vita al fine di comprenderla. Fa ciò con l’aiuto del pensiero filosofico che, se considerato come elemento costitutivo della vita, può appunto aiutare a stare al mondo. Allo stesso tempo siamo invitati a recuperare la sapienza che si è andata smarrendo con l’espandersi dell’incertezza causata dall’avvento dell’età del ri-schio. L’analisi di Natoli affronta il tema degli affetti, della politica, della religio-ne, perché vuole parlare del «presente dell’umanità», per comprendere quello che accade, anche dopo i fatti dell’11 settembre, data segnata da un evento che deve portare a privilegiare la pazienza democratica: in un mondo che è diventato uno e la cui unica distinzione rimasta è quella alto/basso, la giustizia può trionfare sol-tanto con un assiduo e infinito sforzo di reciproca dedizione. Il massimo della ca-rità è dato nella possibilità di liberare l’altro per essere se stesso, nel gioire della gioia dell’altro. Natoli dedica la parte centrale del volume alla dimensione del do-lore e della sofferenza (divenuti oggi intollerabili), invitando all’educazione alla responsabilità. Uno dei tratti caratteristici di quest’epoca è infatti la recriminazio-ne, l’accusa nei confronti di qualcuno o della società in generale. Gli individui de-vono invece, compiendo una rivoluzione etica, diventare padroni di se stessi, sen-tirsi responsabili della propria condizione, anche a fronte di ciò di cui non si è responsabili. Il divenire responsabili trasforma gli uomini in titolari del proprio destino, gli fa comprendere di essere stati fonte e radice del proprio male, li educa al discernimento per avvicinarsi a quella sapienza di cui parla il libro di Qohelet: «il sapere è dolore». Quel dolore che impone l’assunzione consapevole della pro-pria condizione. Il vero sapiente, conclude Natoli, si muove sempre ai confini del buio, spinto da una paura che non paralizza e da una curiosità capace di scoprire il non visto: come Qohelet invita ad afferrare e fruire il momento che passa («va, mangia con gioia il tuo pane, bevi il tuo vino con cuore leggero»), così la sapienza odierna deve essere capace di una conoscenza critica e strutturata, capace «di di-scontinuità con il passato, ma anche di reinvestirlo nel futuro, per rendere vera-mente prezioso il nostro tempo».