Interamente attraversato dal pensiero di Gilles Deleuze e Pierre Klossowski, questo numero speciale n.12 della collana-rivista «Millepiani» chiude una fase di riflessione critica preludendo a nuove aperture impreviste quanto interessanti, e non solo perchè Deleuze è stato l’autore d’esordio di questa serie nel gennaio 1994, con un numero elaborato a partire dall’ultimo libro della coppia Deleuze-Guattari Qu’est-ce que la philosophie? (tradotto poi da Einaudi). Quel che caratterizza questo numero e ne costituisce in senso deleuzeano la sua felicità è il trattare i testi d’autore come “materiali” da usare come rotte provvisorie e non come atlanti ipercodificati. Lo stesso approccio contraddistingue il numero 8 del marzo 1996 interamente dedicato a Gilles Deleuze nel rispetto della “secchezza” del suo stile, come una volta ebbe a definirlo Clément Rosset. Ed è ancora con il medesimo stile che questo numero annuncia la fondazione dell’Associazione Gilles Deleuze «Millepiani» , con interventi di studiosi appartenenti a svariati campi delle scienze umane, i quali si avventurano lungo i diversi itinerari materializzatisi nel corso dei tre anni di vita della rivista. Ubaldo Fadini, con due testi centrati sul modello della corporeità, sonda la mutazione antropologica in corso nella cosiddetta “cultura di rete”, sottraendosi alla fascinazione dell’ottimismo tecnologico. Adelino Zanini propone un sottile excursus sull’opposizione maggioranza/minoranza, attraverso una rilettura del suo delinearsi moderno nella filosofia politica e nel sorgere dell’idea di “individuo medio” nella società borghese, che consente di tracciare le linee di tensione del “divenire minoritario” che è proprio della filosofia. Tiziana Villani, seguendo l’itinerario costituito dall’indagine sul “falso” e il “simulacro”, evidenzia il depotenziamento dell’elemento della provocazione a partire dalla spettacolarizzazione mediatica. Lungo lo stesso itinerario, Pierre Dalla Vigna approfondisce la nozione klossowskiana di “simulacro” in direzione di una rielaborazione del narcisismo mediatico contemporaneo, mentre Teresa Macrì prova a ripensare la relazione tra natura e artificio a partire dall’odierno e incessante operare tecnologico sul corpo. Mario Neve, infine, propone la genealogia possibile di un concetto abusato, il territorio, rintracciandone il formarsi premoderno e le peculiarità concettuali che oggi lo rendono strategico sotto la patina di ovvietà del suo abuso linguistico.