La religione romana antica non possedeva né libri sacri né dogmi, non conosceva né forme di catechismo né sermoni ispirati da sistemi teologici ben definiti ed era priva del concetto di rivelazione divina; a nessuna carica sacerdotale, inoltre, era riconosciuta l’autorità per intervenire sull’insieme delle pratiche cultuali di Roma e del mondo romano. Si trattava pertanto di una forma religiosa fondata sul rispetto dei gesti e delle azioni che regolavano le varie manifestazioni rituali (ortoprassi) e non sul concetto dell’ortodossia. In questa prospettiva, il libro di John Scheid, professore di Religioni, istituzioni e società della Roma antica al Collège de France, sceglie di mettere a fuoco uno degli aspetti meglio documentati della religione romana antica, lavorando sulla realtà delle pratiche sacrificali attestate a Roma e nei territori da essa conquistati. Come il titolo stesso mette chiaramente in evidenza, l’autore si interroga sul significato che si cela dietro alcune pratiche cultuali romane e sulle credenze che accompagnavano, implicitamente, la realizzazione dei riti sacrificali, conducendo il lettore in quattro percorsi che si propongono di ricostruire il quadro generale di tali procedure sacrificali tra il II secolo a.C. e il III secolo d.C.: i sacrifici secondo il rito romano come i voti per la salute del principe o il sacrificio alla dea Dia; i sacrifici secondo il rito greco come gli olocausti e le pratiche sacrificali all’interno dei ludi; i sacrifici domestici legati al lavoro nei campi, indagati sulla base della testimonianza di Catone il Censore, oppure connessi ai banchetti funebri e alla celebrazione del ricordo dei defunti; e infine gli aspetti sociali del sacrificio romano che riguardano anche il problema degli spazi pubblici nei quali si compivano i sacrifici e le questioni pratiche della macelleria. L’analisi delle fonti letterarie ed epigrafiche dell’antica Roma permette a Scheid di riconoscere nelle regole stabilite per la procedura delle pratiche sacrificali la capacità di chiarire e di dare forma e struttura alle gerarchie, tanto all’interno dei rapporti sociali umani, quanto nella rappresentazione della società degli dèi. Questo non significa, però, che i riti dei Romani fossero privi di un vero e proprio significato al di là della loro gestualità. Scheid sostiene che la coerenza del sistema rituale romano e il suo sviluppo nel corso dei secoli permette di scorgere, anche se implicitamente, una serie di nozioni teoriche fondamentali legate alle pratiche sacrificali: la superiorità delle divinità immortali, il loro rapporto con i Romani e le gerarchie che governano il mondo terreno. Il sacrificio, infatti, è prima di tutto una forma di comunicazione tra l’uomo o la comunità politica e la divinità. Inoltre la centralità delle regole da seguire nelle celebrazioni rituali non comporta necessariamente un’assenza di riflessione e di analisi religiosa: secondo Scheid, al contrario, l’interiorizzazione delle regole e il dialogo costante con l’obbligo rituale – che rappresentano le modalità con cui gli antichi romani mettevano d’accordo il sistema divino con la realtà terrestre – costituiscono l’essenza di quella che si potrebbe chiamare la «spiritualità» romana. Il volume di Scheid costituisce dunque un punto di riferimento imprescindibile per coloro che vogliano addentrarsi nei meandri della religiosità romana, poiché analizza in modo diretto le fonti, ponendosi così al di là delle sovrainterpretazioni che hanno nutrito, nel corso dei secoli, la rappresentazione di queste forme cultuali.