Il volume di Chajes rappresenta un punto di svolta per la ricerca sul rapporto complesso tra magia e qabbalah, tra demonologia e pulsione mistica, tra religione e devozione. A fronte del rischio dell’anacronismo, della forzatura interpretativa, del riduzionismo analitico, l’autore propone di adottare una prospettiva antropologica e microstorica, calandosi negli eventi, cercando di coglierne le sfumature psicologiche e la portata emotiva. L’intero volume si focalizza sul tema della possessione, sulle sue declinazioni in relazione alle differenti identità, di genere e di confessione, attraverso un’analisi comparatista che si propone di individuare un modello dinamico del fenomeno all’interno del cristianesimo e dell’ebraismo. Lo studio delle inversioni di tendenza, che vedono i fenomeni di possessione medievale in attestazioni quasi esclusivamente cristiane, e le attestazioni di possessione in età moderna quasi esclusivamente riconducibili all’ambito ebraico, non consentono di ricostruire un percorso evolutivo privo di contaminazioni. In questo caso l’indagine comparata necessiterebbe di una riflessione strutturata sulla storia istituzionale delle due religioni, sulle modificazioni della produzione documentale, delle forme di autorappresentazione, delle forme di trasmissione selettiva del sapere. Ciò che invece risulta di grande efficacia e di notevole interesse per lo studio del rapporto tra le due confessioni è l’individuazione di uno spazio in cui lo scontro confessionale viene condotto sulla base del controllo del mondo invisibile. La capacità di esercitare controllo sugli spiriti non è altro che una forma di legittimazione (di statuizione divina) di un ruolo carismatico all’interno della società. Il ruolo di Dio come fattore causale non può essere ricondotto a forme di devozione popolare o di superstizione, ma deve essere inteso come la cifra di un sistema di pensiero in cui l’invisibile si riversa costantemente nel visibile, condizionandone gli eventi, modificandone le dinamiche, forzandone le leggi naturali. Il contatto tra tradizione demonologica cristiana e demonologia ebraica deve essere analizzato all’interno di un secondo livello di interpretazione, sulla permeabilità tra magia ebraica e magia cristiana, in un sistema di pensiero in cui la lingua ebraica possiede capacità operative estranee alla lingua latina. L’efficacia dell’ebraico e il suo riconoscimento condiviso trova conferma evidente nella produzione talismanica cristiana, nella produzione letteraria di soggetto demonologico, finanche nella sigillografia ecclesiastica. Il volume di Chajes, ricostruendo la storia della possessione e dell’esorcismo nell’ebraismo tra medioevo ed età moderna, traccia così un percorso ideale attraverso i secoli, in costante interazione con le manifestazioni cristiane coeve, fornendo strumenti di riflessione sulla natura stessa del rapporto con l’invisibile. L’appendice, che raccoglie, in traduzione dalle fonti ebraiche, testimonianze di casi di possessione, supporta nuovamente la tesi dell’autore. Lungi dal trattarsi di fenomeni eccezionali, i contatti con gli spiriti rappresentavano non solo un elemento di ordinaria amministrazione ecclesiologica (in senso lato), ma un elemento di grave incidenza sulla causalità del reale, sulla psicologia dell’individuo, sulla configurazione stessa della fede. Credere era innanzitutto accettare il ruolo di attori invisibili nelle dinamiche e negli equilibri del cosmo, e il rapporto con gli spiriti ne rappresentava una delle declinazioni. L’uomo viveva tra gli uomini, ma gli uomini non erano i soli abitanti della terra. La negazione storica della permeabilità tra livelli ontologici nella sensibilità sociale, a prescindere dal livello intellettuale, non soltanto impoverisce la storia del pensiero, ma ne inaridisce il respiro e la ragione fondante.