Perchè le religioni scendono in guerra


Analizzando alcuni dei conflitti recenti (Sri Lanka, ex Jugoslavia, Medio Oriente) di cui sono evidenti le connotazioni religiose, Pace intende dimostrare che le religioni entrano in guerra tra loro non tanto perché interpretano differenze di credo o antagonismi insanabili, ma perché finiscono per diventare un dispositivo simbolico importante nelle politiche d’identità. Le religioni entrano in guerra quando diventano il linguaggio pubblico delle politiche d’identità, repertorio di simboli che attori sociali e politici diversi utilizzano per parlare di altro e dell’altro. La religione può diventare in questo senso una risorsa di senso strategica per ottenere obiettivi politici, assumendo volti diversi e vesti diverse, secondo le molteplici situazioni nelle quali ci si trova a essere coinvolti. Essa sembra capace, meglio di altri repertori ideologici che solitamente funzionano nelle contese armate tra popoli e gruppi umani, di riannodare i fili della memoria. Le religioni, continua Pace, appaiono sensibili alla logica della guerra tutte le volte che finiscono per essere emblema di un aggregato umano alla ricerca di una propria unità storica, della continuità nel tempo e del radicamento legittimo in uno spazio determinato. La guerra diventa un laboratorio dove interi popoli riscoprono il mito di fondazione della loro identità storica ed etnica: l’identità si costruisce sull’autorità di una memoria e la memoria collettiva di un popolo diventa il registro narrativo che permette a un gruppo umano di immaginarsi unito sin dalle origini, senza fratture, se non quelle sofferte per colpa degli altri. Nel lavoro di ricostruzione della memoria collettiva le religioni hanno giocato un ruolo fondamentale: esse sono l’autorità morale che certifica l’autenticità del linguaggio simbolico, permettendo di immaginare come unito ciò che la storia ha diviso e disperso e consentendo di salvare una purezza perduta. Anche i non credenti possono aggrapparsi alle religioni quando il bisogno di identificazione collettiva appare forte, sotto la minaccia di un pericolo esterno. Nell’odierno mondo musulmano radicale appare evidente il ricorso a un repertorio retorico (con l’utilizzo di terminologia sanguinaria e apocalittica) che rimanda all’utopia di riscattare l’identità musulmana colonizzata dall’Occidente: un’utopia che ha conosciuto cocenti sconfitte in Sudan, Algeria, Afghanistan . In questa fase storica il martire riassume le figure del santo, del patriota e del guerriero proprio grazie all’apporto della retorica della religione. Questa nuova figura di martire costituisce un fenomeno moderno e risulta del timore della catastrofe che può incombere sul loro mondo.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Enzo Pace

    Professore di Sociologia della religione - Università di Padova

Anno pubblicazione 2004
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Roma-Bari
Pagine 141
Editore