Perchè il corpo

Utopia, sofferenza, desiderio


Gli otto saggi qui raccolti riuniscono diversi campi disciplinari: antropologia medica (i primi tre), antropologia, letteratura, psicoanalisi, teoria femminista. La curatrice, nel suo scritto d’apertura, introduce con uno stile rapido una prospettiva mobile che pare la più adeguata a trattare un oggetto inafferrabile e, per la nostra cultura idiosincratico, come il corpo. M. Pandolfi nel suo percorso mette in questione nozioni come identità, nazione, ideologia, famiglia, richiama la necessità del viaggio e dell’utopia, accoglie la plurivocità del post-moderno. Agile anche l’intervento di Vincent Capranzano (cfr. Riflessioni frammentarie sul corpo, il dolore, la memoria). Nel suo itinerario volutamente discontinuo, l’autore tocca il rapporto tra dolore e linguaggio – con richiami a Herbert, Sofocle, alla cultura di una popolazione del Chad meridionale, i Sar – e la fenomenologia del trauma. Se le considerazioni sull’epidemiologia svolte da Foucault oggi si mostrano inadeguate, così come il rapporto tra morte e potere non può essere pensato sulla base dei suoi studi, ciò non toglie che le sue analisi del potere rimangano validissimi strumenti etnografici di cui Vinh-Kim Nguyen ha saputo tenere conto, nel suo saggio sulla questione dell’Aids (cfr. Il corpo critico e la critica della razionalità: l’Aids e la produzione di esperienza in un ospedale universitario nordamericano). La malattia, potentissima metafora della post-modernità, situandosi all’incrocio di economia, rappresentazione e scambio, desiderio e identità viene vista come lo strumento per fondare una complessa critica della modernità, correlata ad un’antropologia del corpo non compromessa dal passato. Con il suo fieldwork condotto all’interno di un reparto per la cura dell’Aids, Nguyen vuole comprendere quest’ultima in modo alternativo alla biomedicina e alla psicologia. Con uno sguardo delicato, antropologicamente efficace nel suo dissenso da certe forme di razionalità, Nguyen persegue una mossa anti-biopolitica quando rinviene nell’emersione della sofferenza del malato una storia, che ha come scena originale non una camera da letto, ma una storia collettiva di correlazioni. Una rete che parla delle impotenze e dell’ignoranza sulla vita e la morte, una lacuna pubblica invisibile che gradualmente trova la sua appariscenza nei malati, nel loro vissuto insidiato dalla formalizzazione clinica. Margareth Lock indaga la tecnologia, il suo sistema mitico nel contesto specifico delle sue applicazioni nella medicina e in particolare le controversie legate ai trapianti d’organi e alla conseguente necessità di definire la morte (cfr. Ripensando il corpo della morte: il dibattito in Nord America e in Giappone).

Dati aggiuntivi

A cura di
Anno pubblicazione 1996
Recensito da
Anno recensione 1998
Comune Roma
Pagine 180
Editore