Nel suo ultimo libro Lucetta Scaraffia ripercorre i momenti fondamentali dell’affermazione del movimento eugenetico, illustrandone i caratteri salienti e soffermandosi su diversi casi nazionali. L’intento del volume è esaminare il contesto storico-sociale in cui l’eugenetica nacque e prosperò, con un occhio attento al presente, per capire se le moderne tecniche biomediche possano considerarsi una forma nuova, sebbene più sofisticata, di controllo eugenetico. Lo sviluppo della nuova disciplina coincise, secondo Scaraffia, con l’imporsi a cavallo fra Ottocento e Novecento di un’«élite intellettuale» e «di potere» formata da medici e scienziati in grado di fornire risposte a bisogni sociali sempre più urgenti, anche grazie alla possibilità, offerta dalla nascente divulgazione scientifica, di far conoscere le loro idee a un pubblico sempre più vasto. Da quel momento l’immagine e il ruolo della scienza cambiarono radicalmente, mentre con l’avvento del darwinismo si impose una nuova visione dell’uomo. In una società in profonda trasformazione, l’integrità fisica e psichica della "razza" sembrava minacciata dal pericolo della degenerazione, che dalla metà del XIX secolo assunse i caratteri di una vera e propria «sindrome europea», come l’ha definita Daniel Pick. Per contrastarne gli effetti deleteri e impedire l’aumento degli individui inadatti, nel 1883 Francis Galton, l’eclettico cugino di Darwin, introdusse la scienza del miglioramento della stirpe, ribattezzandola appunto eugenics. Animato da uno spirito tanto utopico quanto pragmatico, Galton propose una regolamentazione dei matrimoni come risposta alla scarsa fecondità delle classi superiori e all’elevata natalità di quelle ritenute inferiori. Non è un caso se proprio in Inghilterra nel 1912 si tenne il primo congresso internazionale di eugenetica, presieduto da Leonard Darwin, figlio del naturalista Charles.
La presenza al congresso di numerose delegazioni straniere, compresa una piuttosto folta proveniente dall’Italia, basterebbe a dimostrare che già all’epoca la disciplina aveva conosciuto un’ampia diffusione a livello internazionale. Se nell’immaginario collettivo essa resta prevalentemente associata alla Germania nazista, non si deve dimenticare che, ben prima dell’avvento di Hitler al potere, molti Stati americani avevano varato leggi sulla sterilizzazione dei tarati. In Europa il primo paese a legalizzare la sterilizzazione a fini eugenetici fu nel 1928 il cantone svizzero del Vaud. Le proposte degli eugenisti, dunque, trovarono ascolto non solo tra gli ambienti conservatori, ma anche tra quelli progressisti: in Svezia, i principi eugenetici divennero parte integrante della politica socialdemocratica e del modello di Welfare State propugnato dai coniugi Gunnar e Alva Myrdal, entrambi premi Nobel, rispettivamente per l’economia e per la pace. Tra il 1935 e il 1975 nel paese scandinavo furono eseguite più di 60.000 sterilizzazioni, come hanno documentato le ricerche condotte da due studiosi italiani, Piero Colla e Luca Dotti.
Gran parte del successo dell’eugenetica derivò, per Scaraffia, dalla capacità di fare interagire elementi molto diversi tra loro, dal darwinismo alla genetica, dalla demografia al razzismo, e nell’offrire argomentazioni ritenute scientifiche a rivendicazioni sociali, come la riforma dei costumi sessuali e la lotta per l’emancipazione femminile. Non deve sorprendere dunque che lo psichiatra svizzero Auguste Forel, direttore della clinica Burghölzli di Zurigo, sostenesse a inizio secolo la necessità di sterilizzare i malati di mente, i criminali e gli invalidi e al contempo invocasse una trasformazione dei costumi matrimoniali, prevedendo in certi casi la poligamia. Allo stesso modo, numerose femministe, come la tedesca Helene Stöcker e l’americana Margaret Sanger, si batterono, oltre che per il riconoscimento dei diritti delle donne, anche a favore del controllo delle nascite. Perfino alcuni studiosi cattolici si lasciarono sedurre dalla possibilità di perfezionare l’uomo: tra loro, il medico francescano Agostino Gemelli e il francese Alexis Carrel, premio Nobel per la medicina nel 1912 e autore del fortunato volume L’homme, cet inconnu.
Secondo Scaraffia, nonostante i suoi presupposti siano stati sconfessati dalla biologia contemporanea, l’eugenetica continua a esistere nelle società occidentali non solo come un «modo di pensare pervasivo», ma anche come conseguenza dell’uso indiscriminato delle «tecnoscienze». Nella nostra società, nota l’autrice, si è andata affermando un’«eugenetica liberale», che stando ai suoi sostenitori non mira più a migliorare la "razza", bensì a garantire il benessere e la salute del singolo a tutti i costi, chiedendo allo Stato di non intervenire direttamente per non violare la libertà di scelta degli individui. La tesi del volume è che la diversità degli intenti sia solo apparente: anche l’eugenetica odierna pretende di «razionalizzare il fenomeno naturale delle nascite» e, ove possibile, si arroga il diritto di eliminare le vite ritenute indegne di essere vissute, per riprendere il titolo del celebre scritto che nel 1920 due studiosi tedeschi, il giurista Karl Binding e lo psichiatra Alfred Hoche, dedicarono al tema dell’eutanasia.