Sorto in una piccola e periferica regione dell’Impero, «mortificata dal fallimento delle note insurrezioni», il cristianesimo si trovò anzitutto a confrontarsi con la religione, la cultura del luogo, l’ebraismo di cui fu deviazione, inzialmente, e poi concorrente. È però con la religione (o le religioni, come si tende più correttamente a dire) pagana, profondamente intessuta nelle maglie della struttura imperiale e intimamente radicata nei culti locali e domestici, che si consumò lo scontro decisivo e più violento, che vide, nel breve corso di appena quattro secoli, il completo ribaltamento delle forze in campo: il cristianesimo, da piccola setta orientale avrebbe preso il posto della religio civica e privata, divenendo, non tanto con Costantino quanto con Teodosio I (e con l’editto Cunctos populos del 28 febbraio 380), religione dell’Impero.
Il libro di Giancarlo Rinaldi racconta, come recita a ragione il sottotitolo, la storia di questo conflitto. Un conflitto soprattutto culturale, «che non è da confondere con la storia delle politiche imperiali in tema di cristianesimo». Dopo aver dedicato, in anni passati, la propria attenzione alla conoscenza critica della Bibbia da parte dei polemisti pagani, pubblicando l’importante repertorio Biblia gentium (Roma 1989, che Manlio Simonetti definiva «in complesso, un’opera di cui difficilmente il cultore di patristica potrà fare a meno»), poi ampliato in La Bibbia dei pagani (2 voll., Bologna 1997-98), l’autore pubblica ora quest’opera di sintesi. Strutturato in due sezioni distinte, il volume offre al lettore un’agevole narrazione dei contrasti tra pagani e cristiani. La prima sezione si sviluppa rispettando – tranne qualora si sia voluto dare maggior risalto a una figura o a un’istituzione protagonista nel dibattito (come ad esempio Celso, o il Senato) – l’ordine cronologico degli eventi.
Si segue così, dopo un’opportuna introduzione degli atteggiamenti pagani nei confronti dell’ebraismo, l’evoluzione del cristianesimo da «minoranza orientale» perseguitata fino al suo sopravvento egemonico, che farà dei cristiani i persecutori e demonizzatori del paganesimo, rovesciando completamente le parti. Interessante sintesi di questo percorso è offerta dal "viaggio" semantico della parola superstitio, a cui Rinaldi fa riferimento. Dal significato di «atteggiamento religoso riprovevole in quanto morbosamente attento ad aspetti e particolari privi di significato» proprio dell’uso classico, infatti, il termine arriva ad essere, nei «testi normativi del IV secolo», ossia nel Codex Theodosianus, in qualche modo sinonimo di paganesimo. Le tappe fondamentali della prima parte del libro passano soprattutto per i grandi polemisti anticristiani, su tutti: Celso (II secolo), Porfirio (233/4-305), Giuliano (331-363) e l’anonimo (non è certo fino a che punto arrivi la finzione letteraria e quanto dipenda da Porfiro) avversario del trattato Contro i pagani di Macario di Magnesia (fine IV secolo). Polemisti anticristiani di cui è difficile oggi ricostruire non solo tutte le argomentazioni, ma persino le stesse opere, perché questi «documenti della "reazione pagana"» sono andati in larghissima parte perduti «a causa degli ordinari meccanismi di selezione che opera la storia e per altri motivi: era la voce della parte soccombente e fu deliberatamente ostracizata e cancellata, perché ritenuta perniciosa all’indomani del trionfo della Chiesa». La seconda parte del volume è invece costruita attorno a delle questioni (come l’escatologia o il battesimo) o delle figure (come Paolo o Pietro, i due principali apostoli, ma anche i protagonisti della "disputa di Antiochia", tanto spesso individuata come "punto debole") proprie del cristianesimo e oggetto dei più accesi attacchi ad opera dei pagani. È soprattutto in questa sezione, come anche talora nella precedente, che si deve riconoscere all’autore il merito di schematizzare, spesso, reti di argomentazioni non sempre altimenti sintetizzabili.
Funge in qualche modo da spartiacque tra le due parti del libro, sebbene formalmente e concettualmente appartenga più alla prima che alla seconda, il capitolo sulle quaestiones et responsiones, in cui l’autore ritiene si celi una certa porzione della polemica cristiano-pagana, e che forse contiene le pagine più interessanti del volume. Quello delle quaestiones et responsiones è un genere letterario dell’antichità di uso prevalentemente scolastico, «un espediente didattico» sfruttato dai maestri per meglio esprimere il proprio pensiero, sfruttato anche – tra tanti altri – dai cristiani (l’esempio più noto è quello attribuito allo pseudo-Ambrogio, o Ambrosiaster). L’interesse di questo capitolo sta nel resoconto, per quanto breve, del dibattito accademico sul peso da dare a tal genere di fonti all’interno della ricostruzione del dibattito tra pagani e cristiani. Alcuni – come Lorenzo Perrone nel suo studio sugli Echi della polemica pagana sulla Bibbia negli scritti esegetici fra IV e V secolo – hanno raccomandato una certa prudenza nel tracciare una linea diretta tra argomentazioni anticristiane di autori pagani e il genere delle quaestiones et responsiones, sottolineando soprattutto come l’attività esegetica cristiana, che è stata anzitutto critica filologica dei testi biblici, come tale trasse «profitto da tutte le risorse che la pratica secolare di quest’ultima aveva messo a disposizione degli uomini colti». Soprattutto però Perrone notava come nell’opera dell’Ambrosiaster paiano risultare assenti specifici riferimenti ad argomentazioni di pagani in quelle sezioni (quella specificamente contro i pagani e quella sul fato) in cui maggiormente le si dovrebbero riscontrare. In questo volume Rinaldi ribadisce, dopo che le quaestiones et responsiones erano state incluse nei suoi lavori precedenti sulla critica pagana alla Bibbia (che anche Simonetti giudicava «uno degli aspetti più interessanti della raccolta» della Biblia gentium), che tali testi non sarebbero «sempre espedienti artificiali nati in aula e lì destinati a vivere», né si dovrebbe «del tutto escludere che qualche obiezione possa essere stata originariamente formulata in ambito extraecclesiastico, cioè in circoli "ereticali" oppure in ambienti pagani».
Queste pagine, pur nella loro brevità, portano il lettore nel vivo di un dibattito accademico ancora acceso e di grande interesse. Nel complesso, dunque, il volume rappresenta un’ottima introduzione alla materia per il lettore meno esperto, un utile strumento riassuntivo di riferimento per lo studioso.
Il libro di Giancarlo Rinaldi racconta, come recita a ragione il sottotitolo, la storia di questo conflitto. Un conflitto soprattutto culturale, «che non è da confondere con la storia delle politiche imperiali in tema di cristianesimo». Dopo aver dedicato, in anni passati, la propria attenzione alla conoscenza critica della Bibbia da parte dei polemisti pagani, pubblicando l’importante repertorio Biblia gentium (Roma 1989, che Manlio Simonetti definiva «in complesso, un’opera di cui difficilmente il cultore di patristica potrà fare a meno»), poi ampliato in La Bibbia dei pagani (2 voll., Bologna 1997-98), l’autore pubblica ora quest’opera di sintesi. Strutturato in due sezioni distinte, il volume offre al lettore un’agevole narrazione dei contrasti tra pagani e cristiani. La prima sezione si sviluppa rispettando – tranne qualora si sia voluto dare maggior risalto a una figura o a un’istituzione protagonista nel dibattito (come ad esempio Celso, o il Senato) – l’ordine cronologico degli eventi.
Si segue così, dopo un’opportuna introduzione degli atteggiamenti pagani nei confronti dell’ebraismo, l’evoluzione del cristianesimo da «minoranza orientale» perseguitata fino al suo sopravvento egemonico, che farà dei cristiani i persecutori e demonizzatori del paganesimo, rovesciando completamente le parti. Interessante sintesi di questo percorso è offerta dal "viaggio" semantico della parola superstitio, a cui Rinaldi fa riferimento. Dal significato di «atteggiamento religoso riprovevole in quanto morbosamente attento ad aspetti e particolari privi di significato» proprio dell’uso classico, infatti, il termine arriva ad essere, nei «testi normativi del IV secolo», ossia nel Codex Theodosianus, in qualche modo sinonimo di paganesimo. Le tappe fondamentali della prima parte del libro passano soprattutto per i grandi polemisti anticristiani, su tutti: Celso (II secolo), Porfirio (233/4-305), Giuliano (331-363) e l’anonimo (non è certo fino a che punto arrivi la finzione letteraria e quanto dipenda da Porfiro) avversario del trattato Contro i pagani di Macario di Magnesia (fine IV secolo). Polemisti anticristiani di cui è difficile oggi ricostruire non solo tutte le argomentazioni, ma persino le stesse opere, perché questi «documenti della "reazione pagana"» sono andati in larghissima parte perduti «a causa degli ordinari meccanismi di selezione che opera la storia e per altri motivi: era la voce della parte soccombente e fu deliberatamente ostracizata e cancellata, perché ritenuta perniciosa all’indomani del trionfo della Chiesa». La seconda parte del volume è invece costruita attorno a delle questioni (come l’escatologia o il battesimo) o delle figure (come Paolo o Pietro, i due principali apostoli, ma anche i protagonisti della "disputa di Antiochia", tanto spesso individuata come "punto debole") proprie del cristianesimo e oggetto dei più accesi attacchi ad opera dei pagani. È soprattutto in questa sezione, come anche talora nella precedente, che si deve riconoscere all’autore il merito di schematizzare, spesso, reti di argomentazioni non sempre altimenti sintetizzabili.
Funge in qualche modo da spartiacque tra le due parti del libro, sebbene formalmente e concettualmente appartenga più alla prima che alla seconda, il capitolo sulle quaestiones et responsiones, in cui l’autore ritiene si celi una certa porzione della polemica cristiano-pagana, e che forse contiene le pagine più interessanti del volume. Quello delle quaestiones et responsiones è un genere letterario dell’antichità di uso prevalentemente scolastico, «un espediente didattico» sfruttato dai maestri per meglio esprimere il proprio pensiero, sfruttato anche – tra tanti altri – dai cristiani (l’esempio più noto è quello attribuito allo pseudo-Ambrogio, o Ambrosiaster). L’interesse di questo capitolo sta nel resoconto, per quanto breve, del dibattito accademico sul peso da dare a tal genere di fonti all’interno della ricostruzione del dibattito tra pagani e cristiani. Alcuni – come Lorenzo Perrone nel suo studio sugli Echi della polemica pagana sulla Bibbia negli scritti esegetici fra IV e V secolo – hanno raccomandato una certa prudenza nel tracciare una linea diretta tra argomentazioni anticristiane di autori pagani e il genere delle quaestiones et responsiones, sottolineando soprattutto come l’attività esegetica cristiana, che è stata anzitutto critica filologica dei testi biblici, come tale trasse «profitto da tutte le risorse che la pratica secolare di quest’ultima aveva messo a disposizione degli uomini colti». Soprattutto però Perrone notava come nell’opera dell’Ambrosiaster paiano risultare assenti specifici riferimenti ad argomentazioni di pagani in quelle sezioni (quella specificamente contro i pagani e quella sul fato) in cui maggiormente le si dovrebbero riscontrare. In questo volume Rinaldi ribadisce, dopo che le quaestiones et responsiones erano state incluse nei suoi lavori precedenti sulla critica pagana alla Bibbia (che anche Simonetti giudicava «uno degli aspetti più interessanti della raccolta» della Biblia gentium), che tali testi non sarebbero «sempre espedienti artificiali nati in aula e lì destinati a vivere», né si dovrebbe «del tutto escludere che qualche obiezione possa essere stata originariamente formulata in ambito extraecclesiastico, cioè in circoli "ereticali" oppure in ambienti pagani».
Queste pagine, pur nella loro brevità, portano il lettore nel vivo di un dibattito accademico ancora acceso e di grande interesse. Nel complesso, dunque, il volume rappresenta un’ottima introduzione alla materia per il lettore meno esperto, un utile strumento riassuntivo di riferimento per lo studioso.