A partire da Homo sacer (1995) Agamben ha ridefinito filosoficamente la nozione di vita, scoprendo sempre più in essa la chiave di volta della vicenda politica e culturale dell’Occidente. Tale lavoro si incentra su una ripresa originale di Aristotele, Heidegger, Benjamin, Schmitt e, soprattutto, dell’ultimo Foucault. Agamben traccia infatti, sulla scorta del pensatore francese, una genealogia dei modi attraverso i quali la vita umana si è nei secoli relazionata a forme di potere sempre più pervasive e inaggirabili. Il volume Opus Dei mette in luce, attraverso un ardito lavoro filologico sulla teologia e sul diritto canonico tardo-antico e medievale, l’incidenza concreta del modello ecclesiastico del “ministero sacerdotale” sullo sviluppo di teorie e pratiche del potere che, di primo acchito, sembrerebbero avere poco o nulla a che fare con il cristianesimo. Agamben sostiene infatti che «la Chiesa ha inventato il paradigma di un’attività umana la cui efficacia non dipende dal soggetto che la mette in opera e che ha tuttavia bisogno di lui come di uno ‘strumento animato’ (San Tommaso) per realizzarsi e rendersi effettiva» (p. 41): la liturgia – che la Chiesa cattolica definisce appunto “opera di Dio” – rappresenta in tal senso un tipo di azione che rende “effettivo” il mistero celebrato dal sacerdote, nell’esercizio della sua funzione, proprio “spezzando il nesso etico” fra l’agente e l’azione. L’aspetto assolutamente inedito di tale “operatività”, nonché l’elemento da cui scaturisce il paradigma dell’ufficio, consiste nel fatto che l’azione effettuata nella liturgia tende ad acquisire il pieno primato su ogni eventuale intenzione di chi la effettua. Agamben può pertanto mostrare, nei vari capitoli di questo volume, che le plurisecolari controversie dottrinali intorno alla funzione sacerdotale non si separano dagli altrettanto problematici e ancora poco sondati effetti a lungo termine che esse, in quanto fasi della costruzione dell’ufficio come paradigma “operativo”, hanno avuto sull’ontologia, sull’etica, sull’antropologia e sulla politica (dal cristianesimo delle origini a Strauss, Kelsen e Gehlen). Il paradigma dell’ufficio trova paradossalmente la sua espressione più problematica proprio nel kantismo, ovvero in quel modello etico che più di altri ha preteso di rompere con la dimensione contenutistica e motivazionale dell’agire. Se da Kant in poi l’ideale di un’azione compiuta incondizionatamente per il dovere ha potuto imporsi nell’etica, sostiene Agamben, è proprio perché la Chiesa aveva già «elaborato l’ufficio come modello dell’attività umana più alta» (p. 129). Il volume Opus dei mette principalmente in luce quanto l’importanza capitale della Chiesa nella storia dell’Occidente consista nell’avere contribuito in maniera più che decisiva al consolidamento del principio fondamentale secondo cui c’è volontà ogniqualvolta la possibilità del suo realizzarsi non si separa dall’altrettanto concreta possibilità del suo non realizzarsi. Se è vero che, come ha insegnato Foucault, la ricerca nell’ambito delle scienze sociali è innanzitutto una “diagnostica del presente”, il lavoro di Agamben è la dimostrazione di quanto tale ricerca implichi oggi più di prima uno scavo inconsueto in luoghi della storia e del sapere che, fin troppo spesso, crediamo abbiano poco da dire sul presente che noi stessi siamo.