Questo non è un libro su Machiavelli ma sull’influenza, ampia, profonda e cruciale, di Lucrezio e, tramite il suo De rerum natura, delle idee epicuree sulla cultura fiorentina fra Trecento e Quattrocento, dunque sulla fioritura del Rinascimento. Il titolo originale lo segnala chiaramente: The Return of Lucretius in the Renaissance Florence. La traduzione italiana risponde, ovviamente, alla necessità di rendere meno riservato ai soli addetti ai lavori lo studio di Alison Brown e di ampliare il perenne interesse, non solo presso il pubblico italiano, che suscita il nome di Machiavelli, raddoppiato quest’anno dalla ricorrenza dei cinquecento anni dalla stesura del celeberrimo Principe (o, almeno, di gran parte di esso, stante l’altrettanto celebre lettera a Francesco Vettori datata 10 dicembre 1513).
D’altro canto, l’influenza lucreziana sul pensiero di Machiavelli è considerevole e ne determina quelle caratteristiche che ne hanno fatto un momento di cesura fondamentale nella storia della riflessione politica occidentale. Di fatto Machiavelli inaugura la modernità politica, magari ben oltre le sue originarie intenzioni e senz’altro avvalendosi di figure e concetti tutti immersi nel medioevo o nell’antichità classica, soprattutto romana. Ma è proprio da quella combinazione originale, precipua dell’età rinascimentale, che nasce il moderno in politica. E sulla scorta dell’attenta ricostruzione filologica di Alison Brown pare confermata essere la secolarizzazione, o trasformazione in chiave immanentistica di idee (anche) "religiose", la cifra più tipica dell’età cosiddetta "moderna".
Tutto ha inizio con Boccaccio e la sua "riabilitazione" di Epicuro, considerato dall’autore del Decameron, a dispetto della fama che aveva avvolto il filosofo greco nell’età di mezzo, quale promotore di valori come l’amicizia e la rettitudine morale. Restano ancora sospette le sue principali opinioni: la credenza che gli dèi sono indifferenti alle vicende umane, che il mondo è eterno e non è governato dalla provvidenza divina, che l’anima muore con il corpo e che il piacere è il bene più elevato e prezioso. Ma queste opinioni tornano con il ritrovamento, compiuto da Poggio Bracciolini nel 1417, del manoscritto del De rerum natura. Il XV secolo comincia pertanto a veder serpeggiare in modo più o meno clandestino nella Firenze, prima papale (Poggio stesso fu segretario papale dal 1423 al 1453 e la città toscana ospitò dal 1434 la corte papale – per circa un decennio – tanto che nel 1439 fu sede del concilio ecumenico) poi medicea, il "naturalismo radicale" e una nuova visione del mondo, scettica e razionale, sempre più in contraddizione con molti dei valori del tradizionalismo religioso cristiano.
A partire da Marsilio Ficino, scrive Brown, «l’interesse per Lucrezio si diffonde a Firenze tra i laici al di fuori dei circoli papali, generando nel corso del Quattrocento un repentino incremento di copie manoscritte del De rerum natura». Tramite Bartolomeo Scala e Marcello Adriani l’interesse per l’opera lucreziana si diffonde anche negli ambienti della cancelleria fiorentina, dove giunge anche il giovane Niccolò Machiavelli, che pare dell’Adriani fu allievo e senz’altro stretto collega nella cancelleria. Del De rerum natura Machiavelli fece una trascrizione, la cui versione autografa fu rinvenuta da Sergio Bertelli nel 1961. Dunque Lucrezio «offre una chiave preziosa per comprendere le opinioni di Machiavelli sulla natura degli uomini, sulla religione e sul cosmo». Libertà e fortuna, in particolare, sono i concetti che Machiavelli elaborò sulla base di una forte influenza lucreziana e che ne corroborarono un’idea di politica in cui l’agire umano si esplica in autonomia, o meglio «con flessibilità morale», rispetto ai dettami della Chiesa cristiana, anche se trova ostacoli in un determinismo naturale mai però assimilabile a quel meccanicismo che prenderà piede solo un paio di secoli dopo. Come ben specificato da Mario De Caro nella postfazione, «l’indeterminismo di matrice epicureo-lucreziana che dà luogo alle "occasioni" (che "per metà delle azioni nostre" ci aprono lo spazio della libertà)» si combina in modo unico e originale con la credenza machiavelliana nei condizionamenti astrali e in quelli metastorici. L’astrologia non è segno della mancata o scarsa modernità del segretario fiorentino, poiché gli influssi astrali sono pensati come "naturali", non governati da intelligenze celesti. E poi Machiavelli, precisa Brown, crede che «astra inclinant non necessitant». In definitiva, Machiavelli è il pensatore della "contingenza", della consapevolezza che esistono momenti in cui la "virtù" può autodeterminarsi. Una virtù "ordinata", ovvero consapevole delle leggi dell’agire politico, saprà trarre vantaggio dalle occasioni che le circostanze offrono e fare così aggio sulla fortuna.