Il volume mette in luce in quale modo – tra il XII e il XVI secolo – si struttura nella dottrina teologica e canonistica e nella prassi pastorale «una disciplina penitenziale che manifesta caratteri propri all’interno delle scansioni specifiche del sacramento della penitenza». Una data fondamentale è il 1215, quando il Concilio Lateranense IV prescrisse di confessarsi almeno una volta l’anno. Il clero non appariva però in grado di far fronte a tale compito, dato il livello minimo di conoscenze teologiche e liturgiche, la scarsa capacità di trasmettere il messaggio religioso, l’uso di una morale precettistica e il riferimento a credenze standardizzate. Si diffusero allora generi letterari particolari (come i manuali per confessori, i compendi e le raccolte di sermoni) che proponevano una concezione della vita cristiana con la pretesa di comprendere al suo interno tutti gli aspetti dell’esistenza di ogni giorno per evitare il rischio di qualsiasi intervento imprevedibile di Dio nel momento in cui ha luogo il giudizio individuale dell’anima. Al termine di un lungo processo evolutivo la penitenza sacramentale perse il suo aspetto di atto drammatico per divenire una pratica compiuta con una certa regolarità nelle parrocchie e su tutto il territorio. I frati mendicanti assicurarono poi l’affermazione della confessione grazie all’organicità degli strumenti pastorali da loro messi in atto, allo scopo di consentire che le norme morali venissero trasmesse ai semplici fedeli. Nel 1474 Sisto IV sanciva anche il loro sostanziale affrancamento da ogni controllo in materia di amministrazione del sacramento della penitenza. Una svolta importante si ebbe a causa della rottura dell’unità dottrinale dell’Occidente. Nel breve volgere di qualche decennio la confessione individuale dei peccati passò da esperienza marginale a momento importante della vita religiosa. Ne derivò un processo di istruzione e formazione che coinvolse sacerdoti e fedeli e nel quale ebbero un ruolo specifico l’insegnamento del catechismo e la predicazione. La riconferma, da parte del Concilio di Trento nel 1563, dell’obbligo della confessione annuale comportò un deciso impegno da parte delle autorità ecclesiastiche per assicurarne l’osservanza: esigenze di disciplinamento dei fedeli e della società, nuove correnti ascetiche e devozionali si indirizzavano dunque verso obiettivi analoghi. A modificare profondamente la confessione sacramentale intervennero fattori esterni (l’Inquisizione) e nuovi orientamenti e strumenti della pastorale ecclesiastica della Chiesa cattolica (come il catechismo e un più accentuato impegno dei parroci).