La volontà di proiettarsi nel XXI secolo senza i vincoli delle ideologie ha spinto molti storici, politici e intellettuali a disinteressarsi delle lezioni che venivano dal passato e ha portato alla convinzione che tutto quanto era avvenuto durante il "secolo breve" era da considerarsi come semplicemente archeologico. Contro questa tentazione parla il libro di Judt in cui vengono commentati gli snodi storici cruciali del secondo dopoguerra (dalla Guerra dei sei giorni alla crisi cubana, dalla caduta dei paesi comunisti alla politica estera americana condotta durante la Guerra fredda), dimostrando come quegli avvenimenti costituiscano invece uno strumento di lettura fondamentale per interpretare e affrontare i nodi attuali. Nonostante gli innumerevoli lavori e memoriali su quanto avvenuto nel corso del XX secolo, oggi è stato generalmente scelto di considerare chiusa la serie di conflitti e genocidi, tanto da essere entrati in un’èra differente e incommensurabilmente migliore. Tutto ciò non può che rendere incompleta la nostra consapevolezza del passato: la storia del XX secolo viene infatti letta come fosse composta da una serie infinita di frammenti di storie, ognuna delle quali (ebraica, polacca, tedesca ecc.) segnata dalla propria unicità. Il mosaico che ne risulta non vincola a un passato condiviso ma, al contrario, spinge alla separazione. Le narrazioni storiche tradizionali fornivano senso e significato al presente (anche se, talvolta, in senso puramente strumentale); oggi, al contrario, il passato acquista senso e significato soltanto se collegato agli affari presenti. Questa "estraneità" del passato è senza dubbio anche il risultato della velocità dei mutamenti sociali e tecnologici che caratterizzano la contemporaneità che rende obsoleto tutto ciò che invece costituiva una cultura comune di fronte alla quale oggi si erge invece una molteplicità di interessi, affinità, scelte. Questo radicale cambiamento non è dovuto, secondo Judt, al processo di globalizzazione: le trasformazioni economiche e sociali cui stiamo assistendo non sono infatti fenomeni senza precedenti (per esempio, la globalizzazione economica della fine del XIX secolo non fu meno radicale rispetto al mondo tradizionale). Ciò che caratterizza nello specifico la nostra epoca è proprio il mutamento del senso storico e della relazione con il passato. Questa perdita non è certo alleviata dal recupero pervasivo della dimensione etica della memoria (e dal suo uso pubblico) ma, al contrario, viene accentuata da questi fenomeni tipici delle società occidentali contemporanee che utilizzano spesso il recupero della memoria (per esempio in merito alla Seconda guerra mondiale) piegandola a fini politici non condivisi e comunque legati alle esigenze attuali, senza rispetto per la dimensione storica nel vero senso del termine.