Il titolo del volume è tratto da un brano del leopardiano Dialogo di un folletto e di uno gnomo, nel quale le masserizie sono il cumulo di oggetti e di pensieri di cui l’uomo si circonda senza più distinguerli. Eligio Resta, ordinario di Sociologia, parte da quel testo per tracciare dense riflessioni che hanno come temi principali l’identità, l’appartenenza, la responsabilità, la pensosità. Proprio quest’ultima è una categoria di cui l’autore lamenta la scomparsa anche in campo filosofico: i pensatori della nostra cultura hanno tradito la loro libertà dallo scopo e si sono consegnati ad esso per inseguirne le tecniche. Citando Blumenberg viene ricordato che la vera libertà è quella che le culture hanno realizzato generando spazi di esitazione e di rielaborazione del sé; l’esitazione che indica la consapevolezza di una rinuncia alle soluzioni brevi e quindi il sottrarsi all’imperativo della funzione e dell’utilità: oltre alla ricerca delle scelte, la perplessità, il rinvio e l’esitazione hanno valore di vita. La filosofia odierna, secondo Resta, pensa ma non ha la libertà dell’essere pensoso, che divaga ed è libero. La pensosità è il prodotto di un racconto, la cui forma privilegiata è stata il mito: la perdita del mito non comporta semplicemente l’incapacità della narrazione, ma crea un uomo astratto, straniero rispetto alla sua origine, privo di ancoraggi solidi. Proprio l’elaborazione del mito racconta di come l’Europa, che si auto-descrive e costruisce come comunità, nasce da un gioco di identità e differenze (la ninfa Europa viene rapita da Zeus). La costruzione dell’identità non può che nascere da atti di de-cisione (che sono atti di separazione in cui ogni parte decisa si configura come nuova identità), non può che pensarsi come differenza. Il diritto e la politica moderni sono senza mito, “scommettono” sul loro universalismo, ma devono invocare differenza e per questo “rischiano”. Dove si radicherà l’identità europea è il problema che si pone oggi, quando ci si rifiuta di appartenere ad un’aggregazione politica, perchè i suoi confini sarebbero arbitrari, mentre soltanto i propri sarebbero quelli naturali. Qual’è allora il confine di un popolo o di una lingua? Chi desse risposta definitiva a questa domanda avrebbe trovato la soluzione al dilemma dell’identità. Identità e differenza sono separate da un confine, quello stesso confine che individua una provenienza: ciò che separa è anche ciò che accomuna. L’identità è fatta dai suoi molteplici confini e tutto si gioca nella possibilità di attraversarli, persino la capacità di narrarla e descriverla. La narrazione ci aiuta a rappresentare i giochi di confine, ma non parla il linguaggio della verità: l’identità allora viene ri-velata, cioè le viene messo il velo dove si pretende di toglierlo.