Il libro si fonda sul presupposto che, nel corso del V sec., esistesse una forte attinenza tra tragedia e politica. Su questa base viene in primo luogo delineata la singolarità della cittadinanza attica e della sua situazione politica nel periodo in cui nacque la democrazia, tra le due guerre persiane e quella del Peloponneso. Al tempo di Eschilo, Sofocle ed Euripide, Atene è la più potente città del mondo. È scenario di rapidi e dirompenti cambiamenti che vedono la cittadinanza ottenere in politica una forte partecipazione fino a svolgervi un ruolo determinante con l”avvento della democrazia totale. Una volta rovesciato il consiglio dei nobili dell’Areopago, attraverso l’Assemblea popolare, la città è totalmente in mano al popolo e la cittadinanza si muove sempre più autonomamente dalle potenze religiose che continuano a governare l’universo. In breve tempo vengono infranti i confini tradizionali del commercio e del pensiero, dell’ordine e dell’esercizio del potere. Tuttavia ad Atene, per le generazioni influenzate dalla tradizione precedente, la sfera politica era ancora compenetrata con quella religiosa. Come collocare, allora, l’autonomia e la responsabilità del cittadino nell’ordine sancito dagli dei? Come superare le antiche sentenze sulla hybris umana e l’invidia degli dei e liberarsi dalla vecchia concezione della colpa? La risposta viene dalla tragedia, che nel V sec. raggiunge la sua massima fioritura. La sua grande fortuna fu infatti quella di poter rappresentare problemi legati al presente utilizzando un materiale mitico ormai lontano nel tempo. In essa si incontrano il vecchio e il nuovo, pensiero mitico tradizionale e razionalità, cultura popolare e cultura superiore; in essa il nuovo ordine trova una sua legittimazione, acquista un senso. Nell’Atene del V sec., dove il “politico” costituiva per i cittadini il principale elemento di vita, le rappresentazioni delle tragedie non potevano rivestire un significato solamente teatrale. Quella che pervade le grandi tragedie è un’arte politica. Pertanto il libro analizza alcune tragedie di Eschilo e due tragedie di Sofocle, al fine di comprendere l’importanza che esse rivestivano per i cittadini in quanto tali, rivolgendosi ai più profondi problemi della cittadinanza attica e contribuendo alla sua stessa integrazione, dando forma ai suoi contenuti e alle sue paure inconsce e consolidando la struttura intellettuale della sua politica. Tuttavia la tragedia rimane ugualmente un’arte “classica”, capace di formulare in una forma nuova e quasi perfetta risposte a domande dai contenuti universali.