Il presente volume raccoglie alcuni saggi realizzati da Carchia durante gli ultimi dieci anni della sua attività, già noti al lettore per essere apparsi su riviste e volumi collettivi ed ora – a seguito della sua prematura scomparsa – destinati a rievocare i principali momenti del suo impegno filosofico. L’unico testo inedito, dedicato alle nozioni di stupore e di ammirazione nella kantiana Critica del Giudizio, ci permette di evidenziare le fasi che – a suo avviso – devono scandire il cammino del pensiero: mosso dalla meraviglia per la constatazione di una finalità “oggettiva” della Natura, e cioè dal sentimento di un accordo tra intuizioni e concetti che trascende l’attività logico-rappresentativa del soggetto, il pensiero torna circolarmente ad interrogare il mistero dell’oggettività, rimettendosi all’inesplicabile decorrere dell’esperienza, ad un tempo contingente ed unitario, non conforme a scopi umani eppure dotato di un’intrinseca intelligibilità. I temi affrontati nel volume sono molteplici: dal ruolo che Schelling attribuisce al Liebe nella vita dell’Assoluto, dove si configura come libera unità dei differenti, alla storia del concetto di “malinconia” che, ad esempio, Freud e Binswanger definiscono come intreccio di rimpianto e di desiderio, ovvero come accettazione della caducità dell’esistere e del suo irreversibile passare, alla polemica contro l’idea oggi dominante di modernità intesa a partire dalla scissione del nesso cristiano di apocalissi e storia, ed alla ripresa della concezione, forse più autentica, che la interpreta come uno stare sulla soglia, nell’intervallo del tempo del mondo che è inizio della fine, sua elaborazione spirituale nel campo della storia. È, tuttavia, possibile ravvisare il motivo comune che ispira i vari scritti qui riuniti nello strenuo rilancio delle istanze profonde, ineludibili del pensiero, da intendersi anzitutto come emancipazione dai fini immediati dell’esistenza, come rapporto tra l’interminabile poieticità umana e la contemplazione transtorica di forme ideali, e ciò contro le derive dell’ermeneutica e del linguistic turn, che assorbono l’intero essere dentro all’orizzonte della storia e del linguaggio e riducono la verità a mero scambio comunicativo. La dimensione propria del pensiero, in analogia con quella che ci viene incontro nell’opera d’arte, consiste, invece, nella manifestazione di un istante eterno di autenticità, nel venire alla presenza del valore, nel processo di incarnazione del senso in una forma, infine, nel ricordo delle forme ideali che fungono da istanza critica per la sua perenne rigenerazione, orientando verso di essa le figure ed i simboli in cui si è sedimentato il suo passato.