Uno dei maggiori effetti della globalizzazione economica e politica è la reale caduta dei confini: l’analisi di questo fenomeno presuppone, allora, un nuovo sguardo cosmopolita che metta in luce l’inadeguatezza delle distinzioni nazionali e statali a partire dalla radicale riorganizzazione dei significati di “interno” ed “esterno”. Lo sguardo cosmopolita, scettico e mutevole, indica infatti la via per organizzare il nostro “vivere insieme” all’interno di una nuova cornice multicentrica. Risulta pertanto necessario elaborare nuove categorie per definire la grammatica della storia, del sociale e del politico. Oggi è mutato, per esempio, il rapporto tra politica interna e politica estera (così come sono radicalmente mutati i loro specifici significati): da un lato, le relazioni tra gli Stati non sono più esclusive, pur continuando a essere centrali; dall’altro, diventa impossibile fornire risposte in termini nazionali a problemi che non sono più solo nazionali (vedi, per esempio, il problema dei diritti umani o dell’ambiente). Nella società mondiale “post-politica” si organizzano legittimamente nuovi attori politici (le organizzazioni sovranazionali e intergovernative, le chiese, le organizzazioni non governative) che concorrono a modellare le norme giuridiche, gli stili di vita, le forme di lavoro. Cosmopolitismo non significa però ‘semplice’ uniformità, perché la cultura continua ad essere storicamente e territorialmente radicata: la sua caratteristica, rispetto allo “sguardo nazionale” consiste in una diversa elaborazione del rapporto tra alterità. Infatti, mentre il nazionalismo metodologico pensa la dimensione sociale e culturale in termini di “o…o”, il cosmopolitismo si serve di categorie di pensiero come “sia…sia”. Lo sguardo cosmopolita, che sancisce la caduta dei confini, delinea però una realtà ambivalente: senza confini sono anche le minacce e i pericoli (il terrorismo internazionale in primis), al profilarsi dei quali ci si accorge dell’inadeguatezza e delle istituzioni attualmente disponibili, incapaci di sottrarsi agli opposti vincoli del territorialismo e dell’omogeneizzazione. Kantianamente, cosmopolitismo significa essere cittadini di due mondi, kosmos e polis, una condizione che permette di vivere e di pensare in termini di opposizioni inclusive, rifiutando la logica delle opposizioni esclusive, allo scopo di costruire un sistema di riferimento adatto ad analizzare i nuovi conflitti sociali attraverso “l’immaginazione dialogica”, cioè la coesistenza tra stili di vita rivali che costringe a confrontare, riflettere, comprendere “certezze contraddittorie”.