L’attacco terroristico alle Twin Towers di New York, oltre all’impatto direttamente politico acquistato dall’evento, ha inflitto un grave colpo al nostro modo di percepire l’essenza delle città. Quelle torri, afferma Rykwert, non avevano aggiunto nulla alla città sul piano urbanistico, ma erano certamente il simbolo della forza della finanza sovranazionale e di un modo di concepire il prestigio delle città che si è venuto configurando nel corso del XX secolo. Le grandi capitali del commercio internazionale e quelle legate al petrolio (tra cui Houston e Kuala Lumpur) si sono venute caratterizzando per la proliferazione di edifici che non rispondono alle esigenze dei cittadini. L’edilizia urbana deve invece provvedere alla creazione di luoghi sicuri, spazi interconnessi e appartati che non siano compressi dalle esigenze del traffico automobilistico. La città non ha esaurito il suo contributo propulsivo e il ruolo centrale che ha avuto nella storia dell’umanità: anzi la “seduzione” che essa esercita si è probabilmente accentuata, come testimonia il fatto che in essa si concentrano le “firme” della finanza, della moda e dell’attività mediatica. A differenza del passato, le città moderne non si sono curate di costruire una propria identità individuale, facendo pensare a una loro crisi irreversibile. Laddove invece, come dimostrano i casi di Barcellona e Bilbao, si rivolge attenzione alla costruzione di edifici pubblici e semi-pubblici (musei, municipi, palazzi di giustizia, parchi) le città diventano un polo di attrazione e risultano più vivibili per i residenti. Per capire la città occorre intenderla come una concatenazione di oggetti voluti e fatti dall’uomo, che formano un tessuto di luoghi. Per plasmare le nostre città, continua Rykwert, e farne una nostra espressione è indispensabile la partecipazione costante della comunità dei suoi abitanti; occorre capire in che modo l’esperienza umana trasforma in immagine la forma costruita. Nel XX secolo i luoghi di incontro identificabili come tali si sono drasticamente ridotti a causa di una crescente standardizzazione degli spazi. Gli stessi grattacieli, che fino al 1920 erano attraversati da spazi comuni e aperti al pubblico, sono diventati oggi delle gated communities, “quartieri cintati” da cui viene espulsa la popolazione che non ne fa parte, rappresentando fedelmente la condizione della società post-industriale. Le città, conclude l’autore, hanno invece il dovere di garantire giustizia per i loro cittadini, coinvolgendoli nella configurazione e nel cambiamento del tessuto urbano: non si può più considerare la città un’amorfa disposizione di conurbazioni: essa può essere compresa solo nel contesto del suo paesaggio e come entità dotata di un centro designato.