Non è affatto frequente che uno studioso italiano, sia pure di confessione riformata ed allievo per anni della prestigiosa Facoltà teologica di Zurigo, riesca con voce originale e sensibile ad inserirsi efficacemente nel secolare dibattito storiografico sul meno noto tra i Padri della Riforma, Uldrich Zwingli. Il Riformatore di Zurigo recepì a fondo la lezione dell’Umanesimo e dell’Evangelismo erasmiano di cui cercò dapprima una incarnazione concreta in una predicazione popolare ispirata al principio del “sola Scriptura” e della “lectio continua” della Bibbia. Sin dalla sua nomina nel 1519 a prevosto (Leutpriester) della Grossmünster, la Chiesa più importante della città, la sua azione incontrò le diffuse aspirazioni del tempo ad una radicale riforma spirituale. Fulvio Ferrario ricostruisce la complessa vicenda della Riforma zurighese a partire dalle sue origini (1522), attraverso le due decisive dispute del gennaio e dell’ottobre 1523 e al progressivo emergere del dissenso dell’ala radicale dei seguaci del Riformatore guidata da Conrad Grebel, decisiva per la genesi dello “scisma” anabattista del 21 gennaio 1525, sino al duro conflitto “ermeneutico” tra le due Riforme. Ogni istituzione ed ogni concreta prassi ecclesiale e sacramentale doveva – secondo Zwingli – venire sottoposta ad esame e trovare giustificazione esplicita nella Scrittura ed in particolare nel Nuovo Testamento, che il Riformatore riteneva dotato di una propria autoevidente chiarezza. La Scolastica, il Diritto canonico ma anche il “consensus patrum” e la Tradizione venivano in tal modo esplicitamente rigettati come criteri veritativi ultimi, così come l’appello ad un futuro Concilio universale. L’interpretazione della Parola veniva ora affidata all’azione ermeneutica dello Spirito, donato anche alle donne e ai semplici. Come avviene in Lutero, tuttavia, una lettura spirituale della Bibbia è per Zwingli sinonimo di lettura cristologica e a richiamarsi all’autonoma azione rivelatrice post-pasquale dello Spirito furono piuttosto i fautori della Chiesa tradizionale. Fu la polemica con i radicali che condusse Zwingli- a partire dal 1525- ad una maggiore cautela esegetica e all’elaborazione di criteri ermeneutici più sofisticati per dirimere i conflitti interpretativi. Tra essi Ferrario annovera la “analogia fidei” – ogni segmento della verità cristiana deve saldarsi armonicamente con gli altri – il “soli deo gloria” – l’interpretazione da preferire è sempre quella che accresce la gloria di Dio – e – in mancanza di meglio – la possibilità di un ricorso “probante” ai soli passi veterotestamentari.