Riconoscere la priorità del male, sottolinea ripetutamente Veca in questo volume (che raccoglie una serie di contributi elaborati per occasioni diverse, ma uniti dall’interesse per una “grammatica” della libertà democratica), è un modo per indurre a selezionare un insieme ristretto di circostanze in cui divenga ineludibile il dovere di “mettere al bando” il nemico, di ridurre – anche con il ricorso alla forza – la sofferenza socialmente evitabile delle persone, quando essa sia l’effetto di istituzioni e pratiche della crudeltà. La precedenza del male sul bene è la premessa di qualsiasi tesi sui diritti umani che voglia guadagnare l’universalismo del passo dopo passo, quell’universalismo basato sull’idea elementare per cui il modo in cui noi parliamo dei valori è nostro, ma le ragioni per cui ne parliamo in quel modo possono essere di chiunque. La presenza del male rende urgente affrontare il tema dei diritti umani, che dovrebbero costituire la base di un linguaggio della deliberazione, del negoziato e della politica, rispondente a criteri di valutazione realistica dei mezzi da impiegare, delle scelte da effettuare e delle condotte da seguire. Questo percorso dovrebbe anche indicare la direzione utile per rimodellare le istituzioni e le norme di un diritto internazionale. Dopo il collasso dell’equilibrio geopolitico che si basava sulla presenza di un clima di guerra fredda, si è avvertita l’esigenza che la filosofia politica si mettesse alla prova estendendo l’idea di giustizia dal versante interno delle comunità politiche chiuse da confini, all’arena internazionale. Tre sono le idee base che, secondo Veca, possono funzionare come premessa per una teoria della giustizia globale: l’idea dell’utopia ragionevole, il criterio etico per la valutazione (che coincide con lo sviluppo umano come libertà delle persone), l’idea di una giustizia procedurale minima. I diritti umani sorgono originariamente in risposta alla priorità del male e l’adesione a una tesi universalistica su di essi dovrebbe mantenere la duplice memoria della necessità dei diritti – dettata dalla prudenza – e dalla loro persistente fragilità. Concetti come libertà, giustizia, diritti umani, sono infatti tanto largamente dibattuti, quanto difficilmente definiti e tutelati ed è per questo, sottolinea Veca, che servirebbe una teoria della giustizia senza frontiere, al cui centro passa la lealtà ai diritti umani. Lo scopo dell’indagine di Veca è anche di disegnare una possibile mappa per cercare di orientarsi nel panorama di quel “mondo tre” (ovvero ciò che Popper ha definito il mondo delle idee filosofiche e scientifiche) che ha una fisionomia mobile, aperta all’irruzione dell’inaspettato e caratterizzato, al tempo stesso, da una singolare propensione alla coerenza e all’equilibrio.