Denso di meticolosi riferimenti letterari, artistici e filosofici, questo libro è insieme punto di partenza e parte integrante della ricerca che Tagliapietra persegue sulla dinamica di alcune figure-limite del mondo della vita nell’ambito della storia della filosofia e, più in generale, della storia della cultura: il velo, il doppio e la morte; la bugia, la menzogna e la sincerità; il pudore, la vergogna e l’inconfessabile; lo specchio, l’autocoscienza e (l’illusione del)la conoscenza. L’excursus storico-filosofico del libro indaga la valenza simbolica dello specchio in quanto «metafora stessa della filosofia»: «luogo originario» della riflessione metafisica sul visibile e l’invisibile, l’essere e l’apparire, il vero e il falso, l’identità e la differenza, il singolo e la collettività. «Dominio incontrastato della teoria dei doppi», simbolo per eccellenza di dualità e alterità, lo specchio si rivela essere lo strumento a partire dal quale traggono origine non solo la costruzione dell’immagine unificata di sé, e dunque l’identità psichica individuale (il lacaniano “stadio dello specchio”) nel suo rapporto con l’Altro con la conseguente formazione dell’identità sociale del singolo, ma anche il percorso di definizione dei paradigmi classici della visibilità (la “toponomastica dell’immagine” redatta da Platone e Aristotele) e il sorgere stesso della “domanda metafisica”. Esperienza cardine della vita umana, la visione della propria immagine riflessa dischiude la possibilità stessa del logos: rende possibile il pensiero (su di sé e sull’Altro) e – dato che conduce alla distinzione tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, e quindi tra l’essere e il non-essere e, all’interno del primo, tra il vero-attendibile e il falso-illusorio – pone le basi stesse del sapere occidentale. Il modello che anticamente spiegava l’atto della vista è speculare, cioè concepisce le immagini come riflessi recepiti dall’organo-specchio quale è l’occhio; lo scarto ontologico tra mondo delle idee e realtà sensibile nel celebre libro X della Repubblica è equiparato da Platone allo scarto esistente tra gli oggetti e i loro riflessi; nei testi sacri l’uomo, che Dio ha creato a sua immagine, “si fa specchio”, vale a dire che «pensa la sua personalità aperta alla continua epifania dell’Altro» e Cristo, in quanto riflesso del Padre, è l’unico autentico mediatore con Esso. Infine, «la metafora dello speculum mundi accompagna l’immagine dell’uomo occidentale fino alle soglie della modernità», fino alla frantumazione dello specchio: «alla nascita di una nuova visibilità declinata secondo le pretese del “cogitante” soggetto cartesiano».