Nel complesso mondo della mitologia domina la figura di una grande dea, madre degli dei e degli uomini, al cui culto i popoli si sono dedicati da tempi immemorabili. Nel corso dei millenni questa divinità femminile ha assunto molteplici aspetti, al di là dei quali, tuttavia, sembrano intravedersi elementi costanti e quasi immutabili, in una linea di continuità che va dal II millennio prima della nascita di Cristo al VI secolo della nostra era. L’immagine della dea madre viaggia incessantemente dalle antiche coste dell’Asia Minore, alla Grecia a Roma, per giungere nei sacri spazi delle nostre cattedrali. Antropologi, psicanalisti e studiosi dell’antichità hanno da sempre subito il fascino di questa figura di madre itinerante, all’origine delle teorie di un matriarcato universale; forte è stata la tentazione di fare della Vergine Maria, l’erede monoteista degli antichi culti politeistici. Ma può questa tentazione appoggiarsi su una documentazione storica? E dove si perdono le origini della madre degli dei e degli uomini? Allo studio della dea-madre Philippe Borgeaud, allievo di di Rudhardt e di Eliade e ordinario di Storia delle religioni all’Università di Ginevra, ha consacrato vari anni della sua attività di ricerca. L’analisi che l’autore fa di questa dea arcaica assume le connotazioni di un’avventura, di un viaggio stupefacente attraverso lo spazio e il tempo, partendo dagli altipiani dell’antica città frigia di Pessinunte, passando per l’Agora di Atene, dove la madre degli dei, alla fine del V secolo, possiede un santuario in pieno centro politico e dove sembra essere la garante della verità collettiva del popolo ateniese archiviata nelle leggi scolpite sulle steli. Alla fine del II secolo a.C. la ritroviamo nel suo ingresso ufficiale a Roma su ordine dei misteriosi libri degli oracoli sibillini, trasportata in processione da Pergamo. Trasformata poi dalla liturgia e dalla rilettura cristiane, oggetto di studio dei pensatori gnostici, approda, infine, alla nuova capitale del regno, Costantinopoli, antica Bisanzio, dove, metamorfosata in Fortuna, la madre degli dei perde i suoi vecchi attributi ma dove, “senza dimenticare le sue origini, prende in prestito l’attitudine amabile e protettrice della madre di Dio”. Fusione? Eredità diretta? Il risultato dell’inchiesta di Borgeaud sembra orientare piuttosto in direzione di un incontro, quasi un dibattito, fra due figure perfettamente distinte. Concedendo largo spazio anche ai personaggi che muovono intorno all’immagine della grande dea, come il clero consacrato al suo culto o Attis, figlio e amante contemporaneamente, l’autore cerca di penetrare la nebulosa universale costituitasi intorno alla dea arcaica e invita a ripensare la complessità della figura materna nelle società antiche alle origini della cristianità.