La forza dello sguardo


Il primato dell’esperienza della visione è una delle caratteristiche più persistenti di tutta la cultura occidentale. È noto che nella lingua greca classica il lessico del vedere e quello del conoscere si intrecciano arrivando a coincidere e consentendo quell’equivalenza tra teoria e visione che legittima e attraversa tutta la riflessione metafisica. L’intento dell’Autore è quello di verificare l’ipotesi secondo la quale l’esercizio della visione non coincide solamente con un atto teoretico-conoscitivo, ma porta in seno uno specifico potere che non ha nulla del dato pacifico e acquietante, ma conserva immutato un problematico aspetto perturbante, intrinsecamente paradossale, su cui è urgente riflettere. Prendendo le mosse dal racconto The Sandman di Hoffman e dai grandi personaggi tragici, per giungere a Bentham, Orwell e Foucault, emerge come la forza (bía) connaturata allo sguardo sia ambigua e duplice: essa coincide con la possibilità di assoggettare, imponendo lo sguardo sul comportamento di tutti, e alla simultanea capacità di sottrarsi allo sguardo, rimanendo invisibili. Un soggetto capace di vedere tutto, e insieme di non essere visto, dà quindi vita ad una forma di violenza già interamente esplicitata nelle diverse versioni del mito dell’anello di Gige. Per cogliere appieno le ragioni che rendono da sempre lo sguardo uno strumento così potente, è necessario riflettere sul particolare rapporto che la visione intrattiene con il suo opposto, l’accecamento. Come emblematicamente testimonia Edipo, ma anche l’indovino Tiresia, essere ciechi non significa non vedere affatto: bisogna piuttosto chiedersi rispetto a che cosa si è ciechi. Gli stessi filosofi, che Platone definisce nella Repubblica come «gli amanti dello spettacolo della verità», pervengono con fatica e dolore ad una «diversa forma di visione» ma in un certo qual modo restano «prigionieri delle ombre», dato che nella caverna, infine, essi devono ritornare. La relazione visibilità-invisibilità ricalca in larga misura anche il rapporto tra giustizia e ingiustizia e lo problematizza radicalmente: l’utopia democratica dell’assenza di segreto (e quindi della totale visibilità) si scontra paradossalmente con l’invisibile e costante controllo propugnato dai regimi totalitari: «ciò che resta confermato è che, per qualunque finalità venga adoperato, il controllo sul vedere rende disponibile un potere pressoché illimitato, senza rendere in alcun modo necessario il ricorso a più dirette ed esplicite forme di coercizione» (p. 242). La coappartenenza di visibile/invisibile nella forza dello sguardo contribuisce dunque a definire la paradossale, ambigua, tragica e perturbante condizione dell’umano.

Dati aggiuntivi

Autore
  • Umberto Curi

    Professore emerito di Storia della filosofia - Università di Padova

Anno pubblicazione 2004
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Torino
Pagine 248
Editore