In questo denso volumetto uno dei maggiori esperti di storia comparata delle religioni propone una nuova lettura della rivoluzione religiosa avvenuta, grossomodo, tra il I e il VI secolo dell'èra comune. Stroumsa individua quattro terreni di trasformazione, che rappresentano altrettante vie di affermazione del cristianesimo nascente. In tutte riconosce l'apporto dell'esperienza giudaica, sostenendo così che nel ricostruire la genesi del cristianesimo – e con esso del mondo moderno – è indispensabile tenere presente il ruolo giocato da Gerusalemme oltre che da Atene. Il primo processo analizzato da Stroumsa è quello della «interiorizzazione della religione», qui definita nei termini di una «nuova cura di sé». Fin dalla terminologia adottata, l'autore si confronta con Hadot e Foucault, di cui però sottolinea l'eccessiva enfasi sulle fonti stoiche della spiritualità tardo-antica, sostenendo al contrario che il modello del profeta giudaico ha svolto un ruolo altrettanto cruciale nella costruzione della figura del santo e nelle esperienze religiose fondate sul pentimento interiore e sull'aspettativa di salvezza. Determinante in questa trasformazione è la pratica della lettura di testi facilmente trasportabili in situazioni di diaspora ("religione del Libro"). Questo secondo passaggio epocale è legato agli usi invalsi nel giudaismo all'indomani della caduta del Secondo Tempio, con la conseguente emersione di un canone di scritti al posto di una pratica rituale. La medesima logica spiega anche la terza trasformazione, ossia la cessazione dei sacrifici cruenti, che il cristianesimo avrebbe ereditato dal giudaismo allorquando la caduta del Tempio ha segnato la crisi del sistema sacrificale tradizionale. È così (quarta trasformazione) che giudaismo e cristianesimo hanno assunto la forma di religioni comunitarie, ossia forme di legame sociale alternative e potenzialmente in conflitto con il culto civico di stampo romano. La prospettiva storiografica assunta da Stroumsa costituisce un'organica critica di alcuni consolidati paradigmi interpretativi. Ruota esplicitamente attorno all'idea – certo da discutere – che le trasformazioni tardo-antiche siano state specificamente religiose e non complessivamente "culturali" (filosofiche e istituzionali). In particolare nega che l'affermazione del cristianesimo sia dipesa unicamente da un processo di «ellenizzazione». Nella transizione dal paganesimo al cristianesimo Stroumsa individua un terzo fattore, quello giudaico, spostando contemporaneamente l'accento dal Mediterraneo al Medio Oriente nella ricostruzione delle origini del nostro mondo.