Oltre a essere un fenomeno complesso, la globalizzazione è caratterizzata da una profonda ambivalenza. Da un lato, il "globale" segna infatti il superamento dei paradigmi spazio-temporali della modernità mentre, dall’altro lato, il cammino verso il "globale" convive con un’evidente frammentazione e rivalsa del "locale". Ciò che, secondo Pulcini, non è stato ancora sufficientemente e criticamente indagato è il fatto che a tali fenomeni si accompagnino vere e proprie patologie individuali e sociali. La polarizzazione di globale e locale assume infatti il volto anomalo dell’"individualismo illimitato", da un lato, e del "comunitarismo endogamico", dall’altro. In secondo luogo, nelle analisi finora condotte non si è prestata sufficiente attenzione alla ricaduta di tali patologie sulla "sfera del sentire e della vita emotiva" (p. 15). Sotto questo aspetto, l’individualismo contemporaneo si mostra legato a una sostanziale assenza della capacità di provare paura, mentre viceversa il comunitarismo ne mostra un eccesso. Alle origini della modernità la paura, in virtù del suo aspetto "produttivo", era stata individuata come uno dei moventi della ragionevolezza e della socialità umane (in particolare da Hobbes). Tuttavia – osserva Pulcini – ora non è più così: la "paura globale" (per esempio in Anders), alimentata dalle due principali fonti di minaccia rappresentate dalla "tecnica" e dall’"altro", mostra di aver perso le proprie potenzialità costruttive e motivanti, per ricadere in una "paura improduttiva, priva cioè di effetti positivi, implosiva e paralizzante" (p. 151). Se tale è la diagnosi del presente, sarebbe però errato dedurne la presunta destinalità e inevitabilità. Al contrario, l’ambivalenza dell’epoca attuale è tale per cui proprio nelle pieghe del presente è possibile individuare chance e potenzialità emancipative che è compito dei soggetti stessi saper cogliere e trasformare. Si tratta, in buona sostanza, di riuscire a "scommettere sulla capacità di costruire scenari alternativi, realizzando possibilità non ancora attualizzate, ma pur sempre latenti" (p. 184). La pars construens della riflessione di Pulcini insiste così su due concetti – quelli di vulnerabilità e contaminazione –, i quali potrebbero riuscire nell’intento di far uscire la paura dal circolo vizioso attuale e di porsi a fondamento di una rinascita del soggetto globale in senso relazionale, vale a dire solidale e responsabile (come in Jonas e Lévinas). La proficua mobilitazione dell’immaginazione, rianimata grazie anche alla forza di eventi quali l’attacco alle Twin Towers, potrebbe dunque consentire di delineare un’etica della cura del mondo, declinabile in senso pubblico, concreto e relazionale.