Dopo una lunga stagione di emarginazione, la chiesa cattolica è tornata nuovamente e prepotentemente in prima pagina: basterebbe riandare con la mente, per convincersene, alle folle che accolgono il papa nei suoi viaggi nel mondo e ai media che sempre più vistosamente ne amplificano le immagini, i gesti, le parole. Una nuova attenzione che si accompagna, per di più, al fatto che la chiesa di Roma appare oggi in grado di rispondere, meglio e più acutamente di tante altre istituzioni del nostro tempo, alla generalizzata richiesta di senso, di serenità, di benessere interiore. La tesi del brillante pamphlet proposto da Filippo Gentiloni (saggista e giornalista da tempo impegnato sui temi del rapporto fra religione, cultura e politica, regolarmente presente sulle colonne de il manifesto, di Confronti e di Rocca) è che tale innegabile successo rischia di essere pagato dalla comunità ecclesiale cattolica al prezzo di un notevole appiattimento della sua cruciale missione, di un affievolimento del suo messaggio: una contraddizione, sostiene l’autore, che va analizzata sullo sfondo di quel panorama sociale, culturale, etico e politico che caratterizza la fine del secolo XX nel nostro paese. Ecco dunque la sfida della modernità, una delle più tragiche della lunga storia del cattolicesimo, che ormai si potrebbe dire conclusa con la piena accettazione del moderno da parte della chiesa stessa. Qualche esito, tra i numerosi evidenziati da Gentiloni: non più e non tanto la verità sembra essere l’oggetto primario della sua predicazione, quanto piuttosto la ricerca della consolazione; non tanto l’aldilà (ceduto di fatto alle lusinghe di un agevole “supermarket interreligioso” di marca New Age), quanto piuttosto l’al di qua, nelle sue connotazioni morali; mentre lo stesso prete, tradizionale figura centrale nell’annuncio della verità, rischia di divenire sovente una sorta di succedaneo dell’operatore sociale o dello psicologo. In un simile contesto, finisce con scomparire lo “scandalo della croce” in nome di un generico e apprezzatissimo buon senso: “Anche nei primi secoli si è avuta una forte spinta verso un cristianesimo che si riducesse ai comportamenti onesti, sani, civili. (…) Forse anche oggi stiamo vivendo, come molti affermano, una forma di neopelagianesimo?”. A fronte di ciò, l’autore suggerisce di recuperare l’idea della povertà quale scelta strategica fondamentale per il cattolicesimo di domani, che “o sarà povero, o non sarà”: povero fra l’altro di potere, di certezze, di parole.