A differenza di V. Gabrieli, l’islamista G. Scarcia – docente di Storia dell’Iran e dell’Asia centrale all’università di Venezia – non considera affatto cruciale né pertinente al nocciolo del problema estetico nell’Islam l’opposizione iconismo/aniconismo. Quello dell’”iconoclastia” arabo-islamica – afferma – è un “radicatissimo luogo comune”; il Corano infatti non proibisce raffigurazioni naturalistiche o realistiche, non più e non meno di quanto prescriva un velo alle donne o, viceversa, sconsigli agli uomini di cancellare con una rasatura perfetta i tratti primigeni del volto di Adamo. E’ esclusivamente un hadith, una citazione autorevole, ad avvertire che le creature forgiate dall’uomo si faranno animare nel giorno del giudizio per tormentare il loro artefice. Tuttavia le fonti storiche e letterarie relative ai primi due secoli dell’Islam (e oltre) ci parlano spesso di complessi architettonici dalle pareti decorate con immagini umane, “proprio in modo tale da far pensare che non vi fosse alcuna forma di divieto o di ripulsa2 (p.44). Almeno sino alla fine del secolo II dell’Egira siamo di fronte all’assenza totale di una vera e propria mentalità iconoclasta; infatti – spiega Scarcia – “contro il silenzio coranico sul presunto divieto delle immagini, le varie raccolte coraniche di hadith si presentano unanimemente ostili ad ogni rappresentazione antropomorfica”. Sono le opere a carattere storico a costituire la categoria più vasta di quelle che si possono considerare fonti per la conoscenza di fatti di interesse estetico; seguono fonti di carattere geografico e narrazioni di viaggi, fonti biografiche sugli artisti musulmani (oggetto di una ricerca filologica ancora agli inizi) ed un immenso materiale epigrafico musulmano che attende un riordinamento sistematico. Anche su questo piano enorme è il debito che l’Islam ha contratto nei confronti di quell’Occidente che è il mondo tardoantico, e non si tratta solo del debito di ogni civiltà nei confronti della storia che la precede, ma di uno sviluppo storico coerente, ove il rapporto fra continuità e rottura vede prevalere la prima. Ne viene confermato l’importante ruolo di mediazione che l’Islam ha svolto tra l’eredità culturale greca e l’Occidente cristiano.