Per David Le Breton, sociologo e antropologo docente all'Università di Strasburgo, i sensi hanno la precedenza sul pensiero: dire, come ha fatto Cartesio, «penso, dunque sono» significa dimenticare che la condizione umana non è puramente spirituale, ma anche corporea. Ospitando nell'economia della pagina scritta citazioni tratte dai grandi classici del pensiero filosofico, dalle opere di letteratura, dalla stessa Bibbia, e affiancando al ritmo di una teoresi in divenire vere e proprie incursioni nella sapienza di popoli e culture distribuite in ogni porzione del globo, Le Breton mostra come ogni uomo condivida sì alcune dimensioni di fondo, ma le sottoponga tuttavia a un'interpretazione e a una riorganizzazione simbolica dalla quale il suo stesso "essere uomo" viene riplasmato. Leggendo i cinque sensi come "punti cardinali" paradigmatici di questo lavoro di auto-interpretazione dell'uomo su se stesso, l'autore mostra in pagine godibilissime quali differenti gerarchie sensoriali si siano imposte nelle diverse culture: come al primato tutto occidentale della vista e dell'udito si affianchi ed eventualmente si sostituisca in altre aree il primato del gusto, del tatto, dell'olfatto; come sensi considerati "nobili" in alcune regioni del mondo vengano talvolta subordinati a sensi considerati altrimenti "ignobili"; come linguaggio parlato e scritto e comunicazione non verbale di segni e gesti testimonino di quest'ordine gerarchico contribuendo al contempo a rafforzarlo o a sovvertirlo. Nessuno, posto in condizioni spazio-temporali identiche a un altro, vede, sente, gusta, le stesse cose: ad ogni istante l'esistenza sollecita l'unità dei sensi, ma diverse sono le risposte che possono essere date. Non ci sarebbero dunque i sensi senza "il senso", senza la capacità di veicolare o di interpretare un significato. Le Breton ne ha consapevolezza così viva da impostare il proprio testo su quest'asse denotativo-connotativo, operando una inesausta e talvolta impercettibile transizione dal riferimento "letterale" al riferimento "simbolico e analogico" al senso/sensi: vedere è sapere, essendo lo sguardo un sostare sull'evento per comprenderlo, intendere è intendersi, spazio aperto all'intesa come al malinteso, il "gusto in bocca" diviene il "gusto di vivere", ma è anche il disgusto delle realtà rifiutate come negative o contraddittorie. I sensi stessi non sono dunque apertura univoca dell'uomo al mondo, ma vengono innanzitutto generati e riplasmati da un contesto intensamente sociale che li educa, dà loro forma e li integra in struttura intersoggettive di senso.