La prospettiva antropologica della filosofia platonica rappresenta l’essere umano come caratterizzato da un desiderio insaziabile. L’autrice individua nella ‘tossicomania’ la manifestazione esemplare della teoria platonica del desiderio: non vitalità gioiosa ma meccanico e doloroso rifornimento ciclico. Da iniziale “scacciacure”, la droga diventa la “cura”: il desiderio diventa così dolore insopportabile e il piacere “negativo” cessazione di una pena, sollievo all’urgenza irresistibile di un vuoto da colmare. Diversamente da Platone, Freud presuppone la possibilità di una sazietà psichica come scarica normale dell’energia pulsionale nel mondo. L’insaziabilità torna solo nella nevrosi, vendetta di un desiderio malamente rimosso da parte di un adulto che non è mai diventato un “bambino ragionevole”. E’ al desiderio isterico che Freud accosta la tossicomania, conservando dunque la struttura negativa del piacere, l’idea che il godimento sia attenuazione di un’eccitazione inconfortevole, riassestamento psichico fino all’inerzia. Tuttavia, la sua ultima intuizione, fortemente autocritica, secondo cui la sessualità, tutt’altro che godimento letargico, è esempio lampante del “piacere di desiderare”, gli permette di rinunciare all’equazione di godimento e morte e di colloquiare così con le teorie della neurofarmacologia attuale secondo cui dolore non è più desiderio, ma incapacità di godere, e il desiderio, tutt’altro che insaziabile, coincide con la tensione stessa del piacere, una tensione estremamente fragile che i trattamenti farmacologici, lungi dal produrre calma e noncuranza, provvedono ad alimentare. Fortunatamente, Platone non ha ragione: la tossicomania non è il paradigma del desiderio. Freud lo sa, per quanto “l’astuzia delle pulsioni”, il suo principio di realtà, riecheggi la melete platonica: il rimedio contro l’insaziabilità è il pensiero, una nuova cura tesa ad appagare il desiderio di sapere che non è automatismo ma sforzo intellettuale, il solo che conduca l’anima al godimento durevole delle cose intelligibili, alla sazietà; una sazietà in cui il desiderio non si collassa nella contemplazione, ma conserva la passione delle inclinazioni corporee, differendo costantemente la calma del possesso della verità. Analogamente, nella psicanalisi differire una gratificazione non è rimuoverla, ma venire ai patti con l’imperativo del godere, introducendo la prospettiva del tempo e imparando a “passare attraverso le persone e le cose”. E’ questo, sostiene l’autrice, il piacere degli adulti, “il solo modo onesto di trattare con il desiderio”.