Il percorso genealogico della storia di un’idea inizia con un’origine per coglierne trasformazioni, ramificazioni e conseguenze nel tempo e del tempo. In questa silloge le diverse voci degli autori intersecano metodi e scopi, declinando una storia della soggettività duplice nei suoi aspetti cognitivi, antropologici, etici e politici. In un senso opposto al dualismo ontologico della dicotomia mente-corpo, la duplicità converge al centro della questione identità-alterità. Il testo, risultato di interrogazioni comuni, affronta il suo compito nell’esperienza dialogica della prova dell’oralità. Nutriti da un interesse terapeutico oltre che genealogico – restituire un paradigma di complessità dell’identità del soggetto – i nove saggi si iscrivono all’interno del limite antropologico della molteplicità dei significati del reale, in quanto contesti storici che espongono l’io alle ragioni dell’altro e al necessario ascolto di sé. Si apprende un’origine: l’idea di homo duplex compare a metà del Settecento con un nuovo, originale uso del termine nella teoria fisiologica del medico danese Herman Boerhaave; ad esso segue il concetto di Buffon e l’accezione di Maine de Biran, attraverso Bossuet, per distinguere stati coscienti e incoscienti dell’io, incipit di un’analisi della mimesi e del suo rapporto con la paideia (A.M. Iacono); l’importanza dell’origine si coglie nella figura del poeta escluso dalla polis della Repubblica di Platone (A. Moneta). Il ruolo della duplicità nelle Confessioni di Agostino e nel cogito di Cartesio incontra il tema della narrazione di sé (L. Mori); trova in Durkheim un approfondimento nell’analisi della duplice relazione fra io e non-io, sacro e profano, preferita alla dicotomia società e individuo (G. Paoletti); passa attraverso il “perturbante” di Freud (D. Maccanti) e si articola nella Storia della sessualità di Foucault con un suo seminario inedito al Collège de France (E. Sanna). Attraversando in senso analitico la dialettica di Hegel e poi Adorno, Benjamin, Nietzsche da un lato (A. Barale), Simmel, Schutz, Plessner e Arendt dall’altro (I. Possenti), la duplicità è condizione per l’esperienza dell’altro e implicazione di estraneità-familiarità costitutive del rapporto con lo straniero. Sulle tracce di un’idea investigativa che sdoppia “qualcosa che facciamo in qualcosa che possiamo dire”, all’interno di una semantica pragmatista si illumina quell’alternativa teorica all’idea di verità come corrispondenza che può liberare il soggetto dalle ipostatizzazioni ideologiche e metafisiche (A.G. Gargani). L’esperienza del duplice è indice di apertura, indizio di un’uscita dalla minorità dell’io stretto e coeso dal realismo metafisico nei suoi limiti solipsistici, ora restituito alla libertà e responsabilità del valore doppio della sua esperienza.