Si assiste a un ritorno di interesse per l’etica proprio nel momento in cui viene eliminata ogni preoccupazione di giustizia per il funzionamento della società mondiale di mercato. Di fronte a questo paradosso, Latouche propone da un lato di rimettere in discussione il primato dell’economia sugli altri aspetti della vita, e dall’altro di riappropriarsi del mercato, riscoprendo il mercato-incontro praticato nell’agorà. È quindi verso una società giusta, prima ancora che verso un’economia giusta, che bisogna indirizzarsi. L’economicizzazione del mondo, imponendo la sua legge alla società, ha fatto scomparire la coscienza del male e delle ingiustizie che in suo nome si sono commesse. La dominazione dell’immaginario economico basato sull’efficienza e sul progresso ha fatto dimenticare l’ingiustizia del modo di produzione con effetti che si stanno manifestando con grande evidenza (una delocalizzazione sfrenata, la concorrenza dei lavoratori del Nord con quelli del Sud del mondo, la liquidazione dello stato sociale). Secondo l’autore, tuttavia, i vari movimenti che sono critici verso il capitalismo si sono rivolti prima di tutto a moralizzare gli uomini senza elaborare una logica di scambio sociale alternativo a quello dell’economia. Essa infatti non si sviluppa contro la società, ma la ingloba e procede alla sua riorganizzazione secondo la logica dell’efficienza. L’immaginario del progresso ha imposto l’assioma che l’accumulazione della ricchezza e l’aumento del dominio sulla natura siano indiscutibilmente buone cose: il bene- avere misurabile è identificato con il bene- essere. Occorre pertanto un cambiamento di atteggiamento nel rapporto con ciò che ci si procura dagli altri: non ci si deve accontentare di essere utenti passivi e bisogna riscoprire il ruolo di cittadinanza attiva mediante la pratica del consumo critico. C’è infatti un’istanza superiore alla legge economica, cioè la società. Attraverso la riappropriazione del potere politico insito nell’atto di consumare, il cittadino può ancora sperare di modificare lo stato delle cose. Si può così decolonizzare il nostro immaginario prendendo coscienza del fatto che i nostri desideri di consumo non sono una vera necessità, incorporando lo spirito del dono nel commercio, attribuendo una diversa stima dei valori tra gli scambi commerciali, praticando un controllo sociale e politico all’intera catena dell’uso del denaro, promuovendo la “società di decrescita”, in cui i rapporto sociali hanno la precedenza sulla produzione e il consumo usa e getta.