Questa monografia ha il pregio di sfatare alcuni miti che ancora aleggiano sulla ricezione di Gadamer (per esempio la sua presunta identificazione di essere e linguaggio e la lettura del suo pensiero nei termini di una "filosofia dell'interpretazione") e di riconferire originalità al suo pensiero, troppo spesso messo in ombra dall'aura heideggeriana. Il fulcro attorno a cui si sviluppa il percorso filosofico gadameriano è la comprensione, non l'interpretazione. Una comprensione che trova il suo esito più significativo in una ricerca filosofica sempre aperta, che travalica i limiti del discorso scritto e «rinvia perciò non solo al dialogo orale, ma alla vita vissuta e alle scelte del filosofo» (p. 12). Si può quindi legittimamente parlare di una vera e propria "filosofia della finitezza" che sempre tende a travalicare i limiti e in cui nulla può darsi o apparire in maniera stabile e definitiva. Per Gadamer, infatti, considerare come non verità l'assenza di un fondamento certo è «indice di superbia intellettuale»: nel pensiero del filosofo di Marburgo non si trova quella «rassegnazione che prende l'assenza di valori assoluti e punti fermi come un segno della nostra epoca» (p. 283). Lungo questa interpretazione è possibile leggere anche la proposta di un'ermeneutica della finitezza che intende distinguersi dal pensiero debole come da ogni deriva nichilista o relativista. Attraverso Gadamer, si scopre che il comprendere assume le caratteristiche proprie dell'esperienza e si declina nelle differenti modalità (o esperienze) di verità che ogni uomo scopre nell'arte, nella storia e nel linguaggio. Il mezzo di espressione privilegiato, nonché lo strumento principe per attuare questa ricerca, è per il filosofo di Marburgo il dialogo, la dialettica della domanda e della risposta, l'apertura al confronto e quindi all'altro. In quest'ottica devono essere rivalutati anche gli studi compiuti senza soluzione di continuità sul pensiero greco. Se si guarda a tutto lo sviluppo della sua riflessione, sostiene l'Autrice, si può dire che l'opera principale di Gadamer, anziché Wahrheit und Methode, sia il libro su Platone che Gadamer non ha mai scritto. Leggendo i dialoghi platonici, il filosofo di Marburgo vuole infatti mostrare come la dialettica sia essenzialmente un'esperienza, piuttosto che un metodo. Un'esperienza costantemente in fieri, da compiere con vigilanza critica e libertà incondizionata di interrogare e interrogarsi. In questo senso si deve intendere quello che Gadamer indica come l'«incondizionato della verità ermeneutica», ovvero come il punto d'incontro di diverse esperienze che ogni volta dischiudono l'«infinito del dialogo».