Filosofia nella pittura

Da Giorgione a Magritte


La filosofia consente di stabilire un legame tra ciò che viene pensato e ciò che diviene immagine: l’analisi di questo reciproco rapporto è l’aspirazione del testo di Brandt, che eredita e sviluppa la lezione di Aby Warburg e Erwin Panofsky, elaborando un’indagine iconologica dei significati filosofici celati dietro l’iconografia. Il volume non propone infatti una semplice carrellata di immagini attraverso cui leggere la storia della filosofia: il suo intento non è quello di ricostruire i modi, i tempi e i luoghi in cui i filosofi sono stati rappresentati nella storia dell’arte. Brandt vuole piuttosto esprimere e chiarire quel contenuto di verità che è posseduto e trasmesso da un’opera d’arte, secondo un’ipotesi di lavoro per la quale talvolta i concetti trovano nell’immagine un’espressione migliore, o più adeguata, della consueta veste letteraria. L’ampio repertorio di tavole consente di leggere quelle «opere d’arte che parlano la lingua della filosofia», nel tentativo di rintracciare riflessioni contenute nei dipinti stessi. Cronologicamente le opere considerate vanno soprattutto dal Rinascimento alla Rivoluzione francese e riguardano motivi dell’antichità. Trovano allora spazio nella trattazione opere come La Scuola di Atene di Raffaello, altre più enigmatiche quali I tre filosofi di Giorgione, la singolare Morte di Socrate di Jacques-Louis David, Il sonno della ragione di Goya, passando per Rembrandt, Rubens, Poussin, Velásquez, per giungere infine alle variazioni di De Chirico e di Magritte. Il profondo legame tra arte e filosofia non riguarda solo i capolavori, ma coinvolge interamente anche la minore produzione artistica di scuola o anonima (l’esempio è la stampa medievale Aristotele e Fillide), ed è presente nell’attività di illustrazione dei frontespizi delle opere filosofiche, che Brandt analizza nel tentativo di coglierne la logica di composizione (sono qui indagate la celebre raffigurazione del Leviatano, nella editio princeps del 1651 dell’omonima opera hobbesiana, e l’emblema della II edizione del 1744 dei Principi di Scienza Nuova di Vico). Pittori dotti che dipingono pensieri creando immagini filosofiche: indiscutibile è il legame che fin dall’antichità si stabilisce tra il lessico del vedere e quello del conoscere, quindi tra immagine e pensiero. Tuttavia, nel nostro tempo rischiamo di rendere l’occhio inappetente all’osservabile, a causa dell’eccesso con cui quotidianamente siamo ‘invasi’ dalle immagini più diverse. Da questo punto di vista, il testo di Brandt, non essendo l’ennesima opera classificatoria e descrittiva, acquisisce un ulteriore merito nell’impegnare il lettore in un esercizio che può aiutare a ri-educare la vista.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 2003
Recensito da
Anno recensione 2004
Comune Milano
Pagine XII + 499
Editore