Oltre un quarto di secolo fa apparve, in occasione di un sinodo di vescovi tedeschi, un aureo libretto di Karl Rahner intitolato Trasformazione strutturale della chiesa come compito e come chance. L’analisi ecclesiologica del gesuita Kehl, docente di Filosofia e Teologia a Francoforte sul Meno che affianca da anni allo studio un’intensa attività pastorale nelle comunità dei giovani e dei disabili, prende le mosse appunto dalle preziose indicazioni rahneriane, la cui richiesta di una “trasformazione strutturale” ha anzi notevolmente accelerato il passo, entrando in modo ancor più acuto nella coscienza ecclesiale universale. E così, le tre domande che allora furono poste a mo’ di interrogativi cruciali – “A che punto siamo? Che cosa dobbiamo fare? Come può essere pensata una chiesa del futuro?” – appaiono oggi ancor più necessarie e incalzanti di quando vennero formulate. L’intenzione del volume di Kehl è appunto quella di descrivere approfonditamente la sfida decisiva per la chiesa nel presente scorcio di secondo millennio, vale a dire l’individuazione di forme nuove in cui il messaggio cristiano possa essere positivamente vissuto e trasmesso. E se le istituzioni classiche della comunicazione della fede fanno presa, soprattutto in Europa, ormai solo sporadicamente, e c’è chi ha teorizzato addirittura la nascita di una “società del post-cristianesimo” (L. Bertsch), sembra oltretutto che questa abbia buon esito quasi solo se passa attraverso relazioni personali, dialoghi, esempi e piccoli gruppi. I conflitti intraecclesiastici irrisolti, inoltre, potrebbero essere considerati come veri e propri sintomi di un rapporto non chiarito tra chiesa e modernità, non solo rendendo alla lunga difficile una riuscita inculturazione della fede nel panorama della cultura complessa e pluralista del nostro tempo, ma avendo anche effetti controproducenti sulla forma istituzionale della fede e della chiesa stessa. Col rischio di aumentare ulteriormente la frattura tra credenza soggettiva ed ecclesialità oggettiva. Ma Kehl non si limita alla diagnosi e offre una interessante serie di indicazioni: l’invito a “riguadagnare la dimensione spirituale” da parte della comunità cristiana recuperando pienamente l’immagine conciliare della chiesa e rivedendo coraggiosamente la vigente pastorale dei sacramenti; la crescente importanza di valorizzare ambienti “di fede comunicativi”, dai piccoli gruppi in cui risulta più agevole tracciare la propria “biografia di fede” ai cosiddetti “nuovi movimenti spirituali”.