La ricezione dell’opera di Karl Barth in Italia è stata sinora senz’altro più efficace sotto il profilo dei lavori monografici dedicati al teologo basileese (dagli studi benemeriti di Italo Mancini, ai più recenti di Maria Cristina Laurenzi) di quanto non lo sia stata sul piano della circolazione dei testi, ad eccezione del “Rőmerbrief” del 1922. Dopo un lungo periodo di attesa di un ventennio seguito alla traduzione di KD IV, 2 (“La dottrina dell’elezione divina”) da parte di Aldo Moda (Utet, Torino, 1983) disponiamo ora in traduzione italiana, grazie allo scrupoloso lavoro di Roberto Celada Bellanti, di una tra le sezioni più ricche e speculativamente profonde della “Dogmatica ecclesiale”, il paragrafo 50 di KD III, 3 (1950) dedicato a “Dio ed il nulla”. Da questo testo siamo ricondotti al cuore dell’amartiologia barthiana, laddove il tema del male viene colto ed affrontato in tutta la sua radicalità ed in tutte le sue dimensioni, attraverso un serrato confronto con i grandi protagonisti della tradizione filosofica occidentale da Leibniz, attraverso Kant e Schleiermacher, sino ad Heidegger. La “meontologia” barthiana si ripromette di reagire ad ogni tentativo riduzionistico e razionalistico di circoscrivere la spiegazione del male nei termini della sua riconduzione a imperfezione ontologica o alla colpa morale. Non si comprende il male se non al cospetto del mistero salvifico divino, rivelatoci nella croce di Cristo e che ci raggiunge in forza del Vangelo: il “Nulla” scaturisce dalla riprovazione divina, nei confronti dell’umanità peccatrice, che costituisce il rovescio della riconciliazione e del gratuito perdono concesseci in virtù della morte espiatrice del Salvatore. Non è casuale che il Figlio debba farsi carico della condizione umana in una forma assolutamente radicale, incluso il peccato, per poter sconfiggere in un conflitto radicale, che si chiude con la resurrezione, il nemico più radicale: il lato oscuro della creazione, che si identifica con la morte (“Tod”), con la tribolazione (“Űbel”) e con il peccato (“Sűnde”). Il male si configura pertanto, e qui a venire in soccorso a Barth è Martin Heidegger, come “nulla nullificante” una realtà attiva e potente e non semplice limite (“privatio boni”).
Nel contesto del tragicismo e del nichilismo cristiano, che ha ispirato in Italia filosofi quali Alberto Caracciolo, Sergio Quinzio e Sergio Givone, la riflessione sul “nulla” condotta da Barth, ha costituito senz’altro uno dei riferimenti più significativi, nella sua capacità di dischiudere alla filosofia l’orizzonte del mistero salvifico cristiano quale vittoria sul male e sul peccato: questa traduzione, seguita da un breve saggio, stimolerà certo nuove riflessioni a livello teoretico.