Cosa ne sarà del cristianesimo nella fine della cristianità? Che ne è della fede cristiana nel tempo della compiuta secolarizzazione della cultura occidentale? E chi era l”uomo di Nazareth, chi è il crocifisso? Queste sono alcune delle principali domande da cui prende le mosse Salvatore Natoli per offrire nella sua ultima fatica una rivisitazione radicale delle idee fondamentali del messaggio cristiano: “imago Dei”, incarnazione, Spirito Santo, rivelazione, salvezza. Si tratta di una rilettura particolarmente coraggiosa, che, se da un lato presenta tali idee caratteristiche del filone ebraico-cristiano come quelle che, attraverso molteplici metamorfosi, hanno costituito l”ossatura e l”identità profonda dell”occidente, dall”altro si propone di interrogarle sul loro possibile significato religioso ed esistenziale oggi, che “i credenti in generale sono una minoranza”. Il problema decisivo a tale proposito, secondo Natoli, non è tanto il tentativo di ricomprendere nel panorama ermeneutico della postmodernità la rivelazione cristiana (un po” sulla linea, ad esempio, del Vattimo di “Credere di credere”), bensì l”indispensabile accettazione della sua incommensurabilità, di quella che egli chiama, kierkegaardianamente, la “paradossia” del Vangelo rispetto alla storia; una paradossia che non si può ridurre a mera astrazione. “Entro la rivelatività del linguaggio, il linguaggio della rivelazione radicalizza lo scarto e l”eccedenza: indica l”oltre e perciò stesso porta il linguaggio al suo limite, tra il dicibile e l”indicibile” (p.95). Anche per Natoli la carità rappresenta il nucleo essenziale del kérigma cristiano: ma lo sono almeno altrettanto la resurrezione dei morti, la vita eterna, la visione di Dio.
Assai suggestive sono, in tale direzione, le pagine che si soffermano sul lavoro di Wittgenstein tese a ricordare che il cristianesimo non è una dottrina bensì una descrizione di un evento reale nella vita dell”uomo. In ogni riflessione del libro, risulta sotteso un orizzonte particolarmente caro a Natoli in questi ultimi anni, vale a dire la necessità di porsi nell”ottica di un”etica del finito, di una “fedeltà alla terra”, di uno sguardo “neopagano” e profano sulla realtà nel quadro del quale sia possibile rintracciare un senso all”esistere di ogni uomo, credente o no, nel suo essere comunque figlio o erede del cristianesimo.