Se ogni lettura è sempre una riscrittura, come proposto dai teorici della letteratura sulla scia delle parole di Roland Barthes, la rilettura, da parte di Mario Torelli, della «cultura delle colonie» attraverso l’analisi dell’ampio materiale archeologico portato alla luce negli scavi della Magna Grecia, costituisce un’interpretazione originale e innovativa nel panorama degli studi finora compiuti sulla produzione cultuale e artigianale delle colonie greche in Italia. L’Autore precisa il suo intento nella breve introduzione: «Scopo di questo libro è fare dell’archaiologhìa (o, meglio, come vedremo, delle archaiologhìai) nel senso etimologico del termine, ossia discutere il vasto materiale raccolto in due secoli di scavi e di ricerche effettuate nelle città e nei territori della Megàle Hellàs e della Sikelìa e organizzato ormai secondo classi monumentali, sequenze o tipologie largamente consolidate, con l’obiettivo di ricostruire la cultura diffusa dei coloni» (p. VII). Le intitolazioni dei sette capitoli del volume sono particolarmente indicative e seguono un ordine ben preciso che aiuta a catalogare e collocare cronologicamente e spazialmente l’imponente mole di dati fornita dal testo. Analoga funzione, per lo meno in parte, viene svolta dall’apparato ricchissimo delle immagini e delle tavole che supportano e chiariscono le indicazioni puntuali del testo, pur con la limitazione di una stampa in bianco e nero. Il primo capitolo ripercorre la storia della colonizzazione greca e delimita con esattezza il fenomeno al centro dell’analisi: vengono inoltre fornite le coordinate cronologiche, spaziali e persino ideologiche del movimento colonizzatore della Magna Grecia e della Sicilia tra VIII e VI secolo a.C. a opera di Calcidesi, Corinzi, Megaresi, Spartani, Locresi, Achei, Ioni, Dori di Asia e Creta. Muovendo da questi dati storici (pur con le varie interpretazioni o incertezze cronologiche di cui l’Autore rende conto), Torelli costruisce la propria interpretazione dell’originalità e della dipendenza delle colonie dalla madre-patria nei vari campi che costituiscono l’oggetto dei capitoli successivi: culti, architetture e oggetti cultuali (parte prima: archeologia della religione), pittura e ceramografia, scultura, arti minori (parte seconda: archeologia della produzione materiale e artistica), i caratteri di recettività, di sincretismo e di imitazione. In particolare sono interessanti i rilievi di Torelli nell’individuare le caratteristiche peculiari della produzione delle colonie: innanzitutto la straordinaria diffusione del culto di Demetra e dei culti orientali; inoltre, la nascita dei cosiddetti culti della chòra che, secondo l’Autore, non hanno tanto funzione di confine, ma di definizione dell’identità e società greca a confronto con quelle dei popoli ‘altri’; ancora, la diffusione dei culti panellenici di Olimpia e Delfi a fianco dei culti eroici degli ecisti e di alcuni piccoli culti domestici sconosciuti in madrepatria. Tutto questo fermento religioso si riflette sulle architetture, sulle topografie e sulla produzione degli oggetti cultuali delle colonie. Allo stesso modo, anche per quanto riguarda la produzione artigianale, Torelli presenta preziosi esempi di oggetti innovativi, a fronte di un primo periodo dove soprattutto la produzione ceramografica era prevalentemente d’imitazione. Altre novità sono costituite dall’utilizzo del calcare in luogo del marmo, dovuto alla differente composizione orografica del luogo, mentre l’eccellenza artigianale dell’Occidente greco viene riconosciuta alla coroplastica e alla bronzistica che producevano sia oggetti fittili per ogni necessità pratica che unica di pregio destinati ai santuari. L’oreficeria, al contrario, rimane una produzione di lusso, ma tendenzialmente poco originale se non nella sontuosità barocca e nella creazione di yàlina krysà di probabile importazione o imitazione dall’Oriente ellenistico. Torelli conclude la propria rilettura citando un’ampia bibliografia in merito che viene vivificata da questo punto di vista ‘innovativo’ rispetto alla produzione precedente.